FTT FREE TERRITORY OF TRIESTE
 

FTT - TLT

>> Trieste 1945/46/47

>> Constitution of the FTT

>> Statute of the FTT

>> die Zeit der jugoslawischen Besetzung

>> Dati geografici e statistici del Tlt

MOMIANO

CITTANOVA

DAILA

VERTENEGLIO

 

CAPODISTRIA

 

TRIESTE

 



MUGGIA

 

 

GRISIGNANA

 

DUINO

 

PIRANO

 






THE 16 MUNICIPALITIES of THE FREE TERRITORY of TRIESTE

 

    - DUINO

    - MUGGIA

    - TRIESTE

    - CAPODISTRIA

    - ISOLA

    - PIRANO

    - UMAGO

    - GRISIGNANA

    - CITTANOVA

    - VERTENEGLIO

    - BUIE

   - SGONICO / ZGONIK

   - MONRUPINO / REPENTABOR

   - MARESEGO / MAREZIGE

   -MONTE DI CAPODISTRIA /  SMARIJE

  - SAN DORLIGO DELLA VALLE / DOLINA

   - VILLA DE'CANI / DEKANI

 
LA SITUAZIONE ETNICA


Il Territorio Libero di Trieste aveva un’estensione di 738 kmq di cui 222,5 costituivano la Zona A e 515,5 la Zona B. La prima comprendeva la città di Trieste, i comuni costieri italofoni di Muggia e Duino e altri quattro piccoli comuni carsici slavofoni (Aurisina, Sgònico, Monrupino, San Dorligo della Valle), e praticamente non è altro che un piccolo arco intorno al porto di Trieste. La seconda comprendeva i comuni  italofoni di Capodistria, Isola, Pirano, Umago, Cittanova  e Buie, Verteneglio, Grisignana nonchè quelli slavi di Villa Decani, Marèsego, Monte di Capodistria.


La Zona B altro non era che l’orto di Trieste, e la città a sua volta rappresentava il mercato di vendita dei prodotti ortofrutticoli e del pesce provenienti da quei paesi. Molti erano in tempi normali gli istriani che da Capodistria e da Isola si recavano giornalmente a lavorare a Trieste. Va aggiunto che qualche parte dei comuni di Duino-Aurisina, Monrupino, Trieste, San Dorligo, Villa Decani, Marèsego, Grisignana, Cittanova è stata annessa alla Jugoslavia col trattato di pace, il quale aveva peraltro attribuito al T.L.T. piccole porzioni disabitate di comuni passati alla Jugoslavia: 32 ettari già di Parenzo, 16 già di Visinada, 147 già di Sesana.

La  popolazione della Zona A era costituita da 262.000 persone, di cui 240.000 nella sola Trieste, 12.000 a Muggia, 4.000 a San Dorligo.
Molto inferiore è invece la popolazione della Zona B che, , sarebbe stata  di 71.150 persone.
 Il  censimento secondo la lingua d’uso svolto nel 1921, e quelli compiuti ai tempi dell’impero austro-ungarico  secondo il principio della lingua d’uso, diedero i seguenti risultati per i territori costituenti il Territorio Libero:

 

Italiani

Sloveni-Croati

Tedeschi e Altri

Totale

Zona A

211.660

32.427

18.319

262.406

Zona B

54.651

16.287

212

71.150

Territorio Libero

266.311

48.714

18.531

333.556


Dopo l'occupazione militare jugoslava 40.000 italiani ( tutta la popolazione urbana e la maggior parte della rurale) sono fuggiti dalla zona B.

I distretti  di Capodistria e Buie  formano la zona B, con  520 kmq. e 70.000 abitanti, ( 51.000 italiani e 19.000 slavi ) dove continua l'amministrazione militare degli jugoslavi , che anzi, senza subire più alcuna interferenza continueranno con più decisione l'opresssione degli italiani, che partiti in schiacciante maggioranza  diminuiscono ogni giorno e sempre meno possono fare di fronte alle efferate forze militari e di polizia jugoslave.

I centri della costa fino al 1947 erano totalmente italiani ( al 97 %) , quelli dell'interno erano comunque abitati in larga maggioranza da contadini italiani.

A Pirano , che oggi viene chiamata la perla della Slovenia, al censimento del 1910 svolto dall'Austria Ungheria si registrarono oltre a  8.000 italiani, 62 tedeschi e 2 (due) croati e NESSUN sloveno.

Il controllo internazionale dell'ONU ebbe efficacia solo a Trieste,  sottoposta al controllo amministrativo e politico alleato, ma scarso o nullo fu il suo peso nella “zona B” sparita dietro la cortina di ferro jugoslava. Gli italiani della zona B vennero uccisi ( alcune migliaia) o costretti a fuggire (40.000, che si aggiunsero ai 300.000 italiani già fuggiti dal resto dell'Istria divenuta jugoslava fin dal 1945).

Ciononostante la propaganda slava ha sempre continuato a diffondere dappertutto dati palesemente riconosciuti falsi dalla commissione internazionale dell'ONU e tuttora in Slovenia nelle scuole non si fa menzione del fatto che un tempo la zona era abitata da italiani e si insegna ai piccoli allievi che essa è stata da sempre esclusivamente terra degli sloveni.

 Sin da subitoil governo Jugoslavo non rispetta gli accordi sottoscritti con il Trattato di Pace del 1947 che prevede, tra l'altro, anche l'uso ufficiale della lingua italiana, la libertà di pensiero e di comunicazione, di transito delle merci e la facilitazione per i passaggi di frontiera: la sovranità politica jugoslava cancella i diritti umani fondamentali dei cittadini della zona B tanto da indurre inglesi e americani ad abbandonare il progetto del T.L.T.

 

D’altra parte, la rapida conversione dell’economia locale verso i canoni dell’economia collettivistica (una legge che rendeva legittimo l’esproprio dei fondi agricoli senza corrispettivo per il proprietario era già immediatamente stata varata nell’agosto 1945) fece ben presto comprendere come la situazione per Belgrado fosse tutt’altro che transitoria, in attesa di una definizione diplomatica, ma che si voleva rapidamente porre le autorità internazionali di fronte ad un fatto compiuto.

Ciò che comunque determinò la fine delle illusioni fu la pesante politica di nazionalizzazione forzata a danno dell’elemento italiano, attraverso persecuzioni, allontanamenti coatti, eliminazioni, deportazioni, internamenti in campi di concentramento. E che tali strumenti non fossero soltanto la macabra risposta alla politica di nazionalizzazione del fascismo, ma piuttosto il tentativo di cancellare dal territorio una presenza italiana che nelle città e in molte zone anche interne era maggioritaria, fu chiaro fin dall’inizio anche a quei partigiani che, in nome dell’antifascismo, avevano in un primo tempo appoggiato il comunismo titino.  

 

Molti italiani di tutti i ceti sociali, resistettero quasi un decennio nella loro terra sperando nella provvisorietà dell'amministrazione slava e in un futuro ritorno all'Italia o perlomeno  nella reale costituzione del governo del Territorio Libero.

L'opera di jugoslavizzazione si concentrò sulle città della costa  e ironicamente oggi i pochi paesi in cui ancora vive una proporzione consistente di italiani sono quelli delle campagne interne ( Momiano, Verteneglio).

>> Trieste Zona B  1945/46/47

 

 
  

Il Territorio Libero di Trieste 

 

 

Il TLT confina a nordovest con la Repubblica Italiana, a est con la Repubblica Popolare di Jugoslavia, e ad ovest con il mare Adriatico.
 
Fiumi: Timavo, Rosandra, Risano, Quieto
Massima elevazione: Monte Castellaro 742 m.s.l.m.
 
Clima: marittimo mediterraneo sulla costa, temperato continentale all'interno.
 
Limite Nord: Dosso Giulio 45.5 N
Limite Sud: Porto Quieto 45.2 N
Limite Ovest: Punta Salvore 13.0 E
Limite Est: Grozzana di Pese 13.2 E

 

 

 
Data Costituzione 10.2.1947
 
Superficie: 741 Kmq.
 
Comuni: Duino, Aurisina, Monrupino, Sgonico, Trieste, Muggia, San Dorligo, Capodistria, Maresego, Monte di Capodistria, Villa Decani, Isola, Pirano, Buie, Cittanova, Umago, Verteneglio, Grisignana.
 
Popolazione: 330.000 ab. ---- 
278.000 Italiani, 35.000 sloveni, 13.000 croati, 4.000 tedeschi, altre etnie.
 
Densità : 444 ab/kmq.
 
 
Distribuzione etnica

Fonte: Karty etniceskoj struktury Juliskoy krajny 1946:
Italiani 84% 
Slavi 15%
Altri 1%
278.000 Italiani, 35.000 sloveni, 13.000 croati, 4.000 tedeschi ed altre etnie.
Si parla italiano (un dialetto di tipo veneto) nella capitale Trieste, nei  centri lungo la costa dal Timavo al Quieto, e nei loro dintorni  (Duino,Grignano,Trieste, Muggia, Capodistria, Isola, Pirano, Portorose, Sta.Lucia, Salvore, Umago, Daila, Cittanova),  nei   maggiori  centri dell'interno (Grisignano, Momiano, Castelvenere, Buie, Verteneglio) nonché nelle campagne del Muggesano, Capodistriano, Piranese e Isolano e  in quelle del  Buiese ed Umaghese.
 
I 35.000 Sloveni abitano l' altipiano del Carso da San Giovanni di Duino (Stivan) a nord, a Monte di Capodistria (Smarje) a sud, nonché, misti agli italiani,  le campagne e alcuni dei sobborghi retrostanti Trieste (Barcola, San Giovanni e Servola) nonchè la zona sopra Muggia (Crevatini, Albaro Vescovà) e intorno Capodistria (S.Antonio, Villa Decani). 
Tutti parlano correntemente anche l'italiano. 
In zona A ricadono 28.000 sloveni, in zona B  solo 7.000.
I 13.000 Croati  abitano, misti agli italiani,  le campagne della zona meridionale del Territorio, e costituiscono la  maggioranza   nelle campagne più distanti dalla costa (intorno a Toppolo in Belvedere/Topolovec). Tutti parlano correntemente anche l'italiano. Risiedono tutti in zona B.
I 4.000 abitanti tedeschi e di altre etnie sono principalmente concentrati a Trieste( zona A). Tutti parlano correntemente anche l'italiano.
 
Dei 18 singoli municipi, 7 piccoli comuni sono, nel 1947, a maggioranza slovena: in zona A Nabrezina (Aurisina), Zgonik (Sgonico), Repentabor (Monrupino), Dolina ( Sant'Ulderico)  e in zona B Marezega ( Maresego), Dekani (VIlla Decani) e Smarje (Monte di Capodistria) 
Gli altri 11  comuni , sono a maggioranza italiana: 3 in zona A ( Duino, Muggia, Trieste ) ed  8 in zona B ( Capodistria, Isola, Pirano, Umago, Cittanova, Buie, Verteneglio, Grisignana ).
 
Nella parte settentrionale del TLT, e in genere in tutti i centri urbani, tra Italiani e slavi la distinzione nazionale è netta. La coscienza nazionale è chiaramente delineata, i fattori linguistici, culturali e sentimentali, di regola, non si prestano ad equivoci.
Scendendo nelle campagne a mezzogiorno della Dragogna, quando si entra in quella parte della campagna istriana che è divisa fra Italiani e Croati,  le questioni nazionali  cominciano a perdere parte della loro nettezza : una massa non indifferente nelle zone rurali, che statisticamente considereremo croata,  è formata da elementi incerti bilingui,  parlanti un dialetto ibrido italo-slavo (schiavetto) misto tra  veneto,  sloveno e croato.
A questo proposito bisogna tener presente che le lingue slave della regione non hanno una diffusione extra-nazionale e non offrono ancora risorse culturali tali da invogliare gli elementi italiani ad apprenderle. Di regola gli Italiani ignorano la lingua dei loro vicini, mentre gli Slavi della regione sono bilingui da secoli.
 
Composizione etnica dei principali centri urbani ( esclusi sobborghi e circondari) secondo l'I.R. Censimento per lingua d'uso.
 
Trieste: 91,2% It. - 4,7% Ted. - 3,8% Sl.
Muggia : 97,9% It. -1,9% Sl. - 0,2% Ted.
Capodistria :  89,7% It. - 4,8% Ted. - 1,9% Sl.
Isola  : 99,4 % It. - 0,6% Sl. 
Salvore 80% It. 20% Cr.
Pirano : 99,8 % It. - 0,2% Ted. - 
Castelvenere: 65,3% It. 34,7 % Cr.
 
 
 
 
 
Bandiera : Corsaresca (Alabarda) bianca in campo rosso
 
Sigla automobilistica internazionale : TLT
 
Ferrovie  AAFTLT    AZIENDA AUTONOMA DELLE FERROVIE DEL TLT ( il 19 settembre 1947 è avvenuto il passaggio gestione da FS italiane  alla  AAFTLT )
LINEE: Italia- Confine- Duino-Trieste C.le.
Villa Opicina-Aurisina-Barcola-Trieste C.le.
Jugoslavia-Confine-Op. Campagna-Guardiella-Trieste   St.Andrea. 
Trieste St.Andrea-Servola-Aquilinia.
Trieste St.Andrea-Sant'Anna-St.Elia-Pirano-Santa Lucia di Portorose-Buie (in esercizio fino St.Elia).
 
POSTE: nella zona A l'Amministrazione postale utilizza  francobolli italiani sovrastampati con la dicitura AMG FTT, nella zona B l'Amministrazione jugoslava utilizza propri francobolli trilingui.

 

 
IL MONOPOLIO DI STATO DEL TERRITORIO LIBERO DI TRIESTE si occupa della distribuzione del tabacco e sigarette, a prezzi del 18 % inferiori a quelli italiani.
La pressione fiscale è del 20 % inferiore a quella in Italia alla stessa epoca.
RADIO : vengono trasmessi un programma in italiano (Radio Trieste) e uno sloveno  (Radio Trst A). Per la zona B trasmette un programma in italiano 
Forze militari.
Nelle due zone, come previsto dallo Statuto, non vige l'obbligo di servizio militare. (In zona B però gli jugoslavi hanno introdotto il lavoro obbligatorio paramilitarizzato)
La Polizia civile VGPF conta 4337 effettivi militari e 5301 impiegati
La Guardia di Finanza del TLT conta 1044 effettivi militari e 1206 impiegati
La Polizia amministrativa conta 315 effettivi
Sono presenti nella zona A  5000 militari USA e 5000 britannici.
Nella zona B sono presenti 5000 militari jugoslavi.
 
ELEZIONI
1948
1952
D.Cristiana
25
28
P.Com. TLT
13
6
P.Soc.Ven.Giulia 
4
5
M.Sociale
4
4
P.Socialista
*
1
P.Repubblicano
3
4
P.Liberale
1
3
Monarchici
3
1
Liste Slovene
1
1
Comunisti titini
1
1
F.te Indipendenza
4
5
Blocco Tr./Unione.Tr.
1
1
 
Territorio Libero di Trieste - Presidenza di Zona, Ufficio Elettorale

LA FUGA  DALL'ISTRIA OCCUPATA DAGLI JUGOSLAVI

 

Tra la fine del 1943 e quella del 1956 la quasi totalità degli italiani che vivevano nei territori passati, a vario titolo giuridico, sotto il definitivo controllo della Jugoslavia, abbandonarono la loro terra di origine. Sul loro numero le stime variano di molto (quelle più attendibili oscillano fra le 250 e le 300 mila unità), ma non vi è dubbio che a prendere la via dell’esilio fu un’intera comunità nazionale, al completo delle sue articolazioni sociali - da ciò il termine di “esodo”, riferito ad un intero popolo in fuga - che si disperse poi nel mondo: solo parte degli esuli trovò infatti ospitalità in Italia, mentre gli altri furono costretti ad emigrare nelle Americhe o in Oceania. Lasciarono una terra sconvolta: i borghi, soprattutto quelli costieri, ridotti a città fantasma, gravemente spopolate anche le campagne, abbandonate le colture tipiche del paesaggio agrario mediterraneo, completamente disarticolata la società locale, con la scomparsa di interi ceti sociali (possidenti, ma anche artigiani e pescatori), spezzati i legami fra aree tradizionalmente legate da una fitta rete di legami, come Trieste ed il capodistriano.
L’esodo degli italiani segnò nella storia dell’Istria una frattura radicale e senza precedenti. Già nel passato la penisola aveva vissuto gravi crisi demografiche, a seguito di guerre e pestilenze, ed agli albori dell’età moderna Venezia era stata costretta più volte a ripopolarla con popolazioni slave in fuga davanti ai turchi, ma si trattava di eventi accaduti prima della formazione delle coscienze nazionali e la continuità storica non ne era stata intaccata. Dopo la prima guerra mondiale, il passaggio dell’Istria dall’Impero austro-ungarico al Regno d’Italia e, soprattutto, la politica del fascismo, avevano suscitato un flusso migratorio di elementi sloveni e croati, che però aveva inciso solo marginalmente sugli equilibri etnici della regione. Nel secondo dopoguerra invece la scomparsa di un’intera comunità nazionale - fra l’altro, quella che aveva costantemente esercitato l’egemonia economica, sociale e culturale nella penisola - cambiò completamente il volto dell’Istria.
Il forzato abbandono da parte degli italiani dei territori istriani, di Fiume e di Zara costituisce peraltro anche un aspetto particolare ed emblematico di un fenomeno più generale, che travolse nel Vecchio Continente milioni di individui: quel processo di “semplificazione etnica”, legato all’affermarsi degli Stati nazionali in territori nazionalmente misti, che distrusse in larga misura le realtà pluringuistiche e multiculturali esistenti in buona parte dell’Europa centrale. Il fatto che l’espulsione degli italiani avvenne per opera di uno Stato federale e fondato teoricamente su di un’ideologia internazionalista - com’era la Jugoslavia comunista - segnala come la forza delle pulsioni nazionaliste riuscisse in molti casi ad imporsi rispetto ai contenuti ideologici di segno opposto.
Nel suo complesso, l’esodo durò a lungo, più di dieci anni, perché fu il frutto di spinte fra loro assai simili ma impresse con ritmi diversi, in relazione al momento in cui le comunità italiane maturarono la certezza della loro irrimediabile inclusione nella Jugoslavia. Si ebbero così diversi esodi, che si innestarono l’uno sull’altro.
Dopo l’abbandono di Zara, avvenuto già nel 1944 a seguito dei bombardamenti anglo-americani che distrussero la città dalmata (secondo alcune ipotesi, peraltro non confermate, ciò sarebbe avvenuto su richiesta jugoslava), nel dopoguerra la prima a svuotarsi fu Fiume, stabilmente occupata dagli jugoslavi fin dalla primavera del 1945. Qui le nuove autorità, espressione del partito comunista croato, avviarono subito nei confronti degli italiani una politica assai dura, fatta di espropri - miranti a distruggere in particolare le posizioni economiche della piccola e media borghesia fiumana, nerbo dell’italianità urbana - arresti e uccisioni, diretti ad eliminare qualsiasi embrione di dissenso politico. Il radicalismo di tali comportamenti era certo in parte dovuto alla costruzione per via rivoluzionaria di un sistema socialista e di un regime stalinista, ma il prevalere delle componenti nazionaliste croate compromise assai presto anche il consenso che i “poteri popolari” avevano inizialmente ottenuto presso la classe operaia di lingua italiana e di orientamento comunista. Le partenze di massa si avviarono perciò fin dal 1946, per coinvolgere l’intera popolazione dopo che il Trattato di Pace ebbe sancito il passaggio della città alla Jugoslavia.
Simile a quella di Fiume fu l’evoluzione politica a Pola, occupata peraltro fino al 1947 dalle truppe anglo-americane. Anche qui, le iniziali divisioni esistenti nella comunità italiana fra gli avversari della soluzione jugoslava - la maggioranza della popolazione - ed i sostenitori dell’annessione al nuovo stato socialista - gran parte del proletariato italiano - si ricomposero rapidamente di fronte alla constatazione che all’interno del partito comunista croato i contenuti di classe venivano decisamente subordinati rispetto a quelli nazionali, all’insegna di un’assoluta intolleranza. Così, quando il Trattato di Pace impose la cessione alla Jugoslavia anche del capoluogo istriano, gli abitanti decisero di abbandonare in blocco la città, e vennero evacuati via mare nel giro di pochi mesi.
Eguale fu il comportamento degli italiani residenti negli altri territori dell’Istria orientale e meridionale (fra cui le cittadine di Parenzo, Rovigno e Albona) la cui sovranità venne trasferita alla Jugoslavia nel 1947, sempre in forza delle clausole della pace, che prevedevano anche il diritto per gli istriani di optare per la cittadinanza italiana e di abbandonare di conseguenza i territori divenuti jugoslavi. Il loro esodo però risultò più diluito nel tempo rispetto all’incalzare drammatico delle vicende polesane, a causa degli ostacoli frapposti alla loro partenza da parte delle autorità jugoslave, che scosse dalla risonanza internazionale degli eventi di Pola dove tutto il mondo aveva saputo che tutta la popolazione aveva voluto fuggire dalla Jugoslavia socialista. . Il tentativo di frenare la partenza degli italiani era però intimamente contraddittorio: i provvedimenti messi in atto per rallentare l’esodo - rifiuto di accogliere le domande di opzione, limitazioni al trasferimento dei beni, minacce, richiami alle armi, e così via finirono infatti per sortire l’effetto opposto, perché vennero correntemente interpretati quali controprove della volontà persecutoria del regime nei confronti della popolazione italiana. Si trattava infatti di misure che miravano non già a rimuovere le cause dell'esodo, ma semplicemente ad impedirne coattivamente l'effettuazione: in questo modo però non modificavano in alcun modo la realtà dell'oppressione patita dagli italiani, anzi, la ribadivano con maggior vigore e, così facendo, rafforzavano la determinazione ad esodare. Si trattava di un limite connaturato alla struttura stessa del regime, che nei confronti dei dissenzienti - in questo caso degli italiani - sapeva usare soltanto l'arma della repressione, che allargava irrimediabilmente la forbice tra cittadini e autorità.
Più a lungo degli altri resistettero sulla propria terra gli abitanti della cosiddetta “zona B” del mai costituito Territorio Libero di Trieste, vale a dire della fascia costiera nord-occidentale dell’Istria (con le cittadine di Capodistria, Isola, Pirano, Buie, Umago e Cittanova) che avrebbe dovuto concorrere, assieme a Trieste, alla costituzione di uno stato-cuscinetto fra Italia e Jugoslavia, ma che rimase di fatto controllata dalle autorità jugoslave. Durante tutta la seconda metà degli anni Quaranta la durezza della politica jugoslava produsse anche qui un flusso continuo di partenze e di fughe, anche con esito tragico, ma nel complesso la maggioranza della popolazione non si mosse, sperando che i negoziati avviatisi fra i due Paesi confinanti consentissero la restituzione di parte almeno della zona all’Italia. Quando però, alla fine del 1953, fu chiaro che il dominio jugoslavo era divenuto irreversibile, scattò la decisione collettiva di partire, che si consolidò dopo che il Memorandum d’Intesa del 1954 ebbe di fatto sancito l’assetto del confine, anche perché le clausole dell’accordo che prevedevano misure di tutela delle comunità italiane, non modificarono nella realtà i comportamenti repressivi delle autorità jugoslave. Così, nel giro di poco più di un anno - secondo i termini previsti dal Memorandum per optare per la cittadinanza italiana - le cittadine italiane si svuotarono completamente e partirono pure i contadini istriani, che fino all’ultimo non si erano rassegnati ad abbandonare la loro terra.
L’animosità accumulata da sloveni e croati per la dura oppressione fascista spiega in parte l’asprezza dei comportamenti tenuti nei primi tempi dell’occupazione jugoslava dell’Istria, ma il perpetuarsi degli atteggiamenti persecutori nei confronti degli italiani da parte degli attivisti e delle autorità locali, rimanda piuttosto all’intento di farla finita una volta per tutte con un gruppo nazionale percepito come “nemico storico” del nazionalismo sloveno e croato. E’ invece ancora oggetto di discussione se anche da parte del governo di Belgrado esistesse fin dalle origini un preciso disegno di espulsione degli italiani dall’Istria, come suggeriscono alcune testimonianze di parte jugoslava - fra le quali quella di Milovan Gilas - ovvero se, come indicherebbero altri riscontri, nei primi anni del dopoguerra si puntasse piuttosto ad integrare nello Stato jugoslavo un gruppo nazionale italiano privato del suo potere economico e drasticamente “epurato” sotto il profilo politico e sociale, in modo da renderlo del tutto conformista rispetto agli orientamenti nazionali ed ideologici del regime. In ogni caso, tale seconda linea, chiamata della “fratellanza italo-jugoslava” venne abbandonata dopo il 1948, quando la crisi nei rapporti fra la Jugoslavia e l’Unione Sovietica obbligò i comunisti istriani di lingua italiana che fino a quel momento avevano appoggiato, anche se con crescenti riserve, l’azione dei “poteri popolari”, a scegliere fra Stalin e Tito. Conformemente alle tradizioni internazionaliste del proletariato giuliano, la scelta fu compattamente per l’Unione Sovietica: di conseguenza, molti comunisti italiani, fra quelli residenti in Istria e quelli immigrati nel dopoguerra per “edificare il socialismo” - come alcune migliaia di operai monfalconesi trasferitisi a Fiume in una sorta di “controesodo” - subirono il carcere e la deportazione nell’inferno dell’Isola Calva (il lager deputato alla “rieducazione” dei cominformisti). In tal modo, ogni residua possibilità che nuclei significativi di italiani accettassero la logica del regime venne a cadere, ed a partire dalla fine degli anni Quaranta ciò che ancora rimaneva delle comunità italiane in Istria venne considerato da parte jugoslava come mero ostaggio da utilizzare nelle trattative per la sorte della zona B. Così, le ondate di violenze ed espulsioni che vennero scatenate soprattutto in occasione delle elezioni amministrative del 1950 e della grave crisi diplomatica con l’Italia seguita alla Nota Bipartita dell’8 ottobre 1953, si accompagnarono al tentativo di modificare definitivamente l’assetto etnico del territorio mediante l’immigrazione massiccia di elementi provenienti dall’interno della Jugoslavia.
Sul piano soggettivo, a spingere gli istriani ad abbandonare le loro case ed ogni avere per prendere l’incerta via dell’esilio, concorsero diverse motivazioni, che frequentemente si cumularono fra loro. Giuocò un ruolo centrale la paura, legata ai ricordi delle stragi delle foibe e rafforzata dal continuo stillicidio di prevaricazioni, minacce, violenze e sparizioni che punteggiò il dopoguerra istriano e che rappresentava l’aspetto più evidente dell’oppressione esercitata da un regime la cui natura totalitaria impediva anche - al di là dei riconoscimenti formali presenti a livello costituzionale e legislativo - ogni libera espressione dell’identità nazionale. Pesò il sovvertimento delle tradizionali gerarchie, ad un tempo nazionali e sociali, che avevano visto il gruppo italiano storicamente egemone in Istria, ed il ribaltamento dei rapporti di potere fra città e campagna che fino a quel momento, com’è usuale in Italia, avevano visto la dipendenza economica, politica e culturale delle aree agricole dai centri urbani.
Gravi conseguenze ebbe la progressiva eliminazione dei punti di riferimento culturali del gruppo nazionale italiano: soprattutto dopo il 1948 il sistema scolastico in lingua italiana venne progressivamente ridimensionato, l’insegnamento orientato alla denigrazione dell’Italia ed i docenti italiani sottoposti a provvedimenti restrittivi e costretti spesso alla fuga. Quanto alla situazione della Chiesa, dopo una breve fase in cui il regime cercò di utilizzare ai propri fini il sentimento nazionale dei sacerdoti sloveni e croati, la persecuzione religiosa si abbatté con durezza su tutto il clero: non mancarono i martiri - italiani e slavi - e lo stesso vescovo di Trieste, caduto vittima di un’aggressione, salvò a stento la vita. Tali provvedimenti peraltro assunsero un’oggettiva valenza snazionalizzatrice nei confronti delle comunità italiane, che trovavano nei sacerdoti l’unico riferimento autorevole e credibile rimasto a loro a disposizione.
Nel contempo, anche le condizioni di vita degli italiani peggiorarono sensibilmente. Alla difficile situazione della Jugoslavia post-bellica si sommarono infatti le conseguenze negative delle riforme introdotte soprattutto nel settore agricolo ed in quello della pesca - vitali per l’economia istriana del tempo - e dei provvedimenti specificamente diretti a distruggere il passato predominio economico degli italiani in Istria ed a troncare i rapporti con l’Italia e con Trieste, dai quali ad esempio dipendeva buona parte dell’economia della zona B.
Infine, la negazione dei valori tradizionali e l’imposizione di nuovi criteri di misura del lavoro e del prestigio sociale, il sovvertimento di abitudini consolidate da generazioni e l’introduzione di nuove regole di comportamento - nei rapporti sociali come nella gestione della terra - la necessità di servirsi di una nuova lingua, pressoché sconosciuta, e di inserirsi in una cultura fino ad allora nemmeno presa in considerazione come tale, suscitarono negli istriani una crescente sensazione di estraneità rispetto ad una realtà che stava cambiando velocemente e nella quale non vi era visibilmente posto per gli italiani. Attraverso diverse vie e con ritmi diversi, le comunità italiane dell’Istria finirono quindi per arrivare tutte alla medesima conclusione, vale a dire l’impossibilità di mantenere la propria identità nazionale, intesa come complesso di modi di vivere e di sentire, ben oltre la sola dimensione politico-ideologica, nelle condizioni offerte dallo Stato jugoslavo.

1946: i comunisti cercano di bloccare con la violenza la carovana del Giro diretta a Trieste: un gruppo di 15 corridori forza il blocco. Tra due ali di folla e lo sventolio del tricolore il triestino Cottur conduce il giro d'onore sino all'arrivo.


…Di tutto questo dà insospettabile prova lo scrittore Giovanni Padoan, il partigiano Vanni di fede comunista, nella più volte citata opera "Un'epopea partigiana alla frontiera tra due mondi". Egli ci offre sull'episodio dei Giro d'Italia una testimonianza che vale la pena di riportare.
"Il 30 giugno al momento dell'arrivo dei giro ciclistico d'Italia al ponte di Pieris, su consiglio dei dirigente sloveno Franc Stoka, i comunisti di quella sezione bloccarono il giro che si doveva portare a Trieste. Franc Stoka, allora uno dei massimi dirigenti dei Pcrg a Trieste, si recò a Monfalcone a chiedere ai comunisti di quella sezione che impedissero il passaggio dei Giro d'Italia. Questi comprendendo l'enormità della richiesta, si rifiutarono recisamente di attuare una azione cosi dissennata. Non rinunciando al suo progetto, lo Stoka si recò a Pieris e qui, purtroppo, i comunisti locali aderirono all'invito che venne messo in atto e che, come è noto provocò stupore e reazione anche in ambienti non nazionalisti che, in un clima già arroventato e scosso dai conflitti sociali e scontri di piazza quasi quotidiani (non si dimentichi che siamo nel giugno?luglio 1946), sfociò nelle violenze squadriste a Trieste e in uno sciopero ben noto di carattere antislavo e anticomunista e questa volta con il consenso di molta gente che prima era rimasta neutrale".


In definitiva, il primo Giro d'Italia dei dopoguerra, terminò a Pieris. I corridori non vollero più procedere, perché mancavano le condizioni di sicurezza. Lo sport più popolare d'Italia, che sapeva infiammare gli italiani e metterli al di sopra delle parti, era stato tradito dall'atto insano degli slavotitini. Le cronache del tempo ci riferiscono che lo stesso Bartali, sollecitato ad intervenire presso gli altri corridori perché si proseguisse alla volta di Trieste, si uniformò alla volontà dei più. Fu così che il grosso della carovana si mosse alla volta di Udine. Solo una quindicina di corridori decise di non arrendersi e di proseguire sino al traguardo di Montebello. Tra questi vi era anche il nostro Cottur. I quindici "girini" furono fatti salire su alcune automobili della carovana e dirottati lungo una strada diversa da quella prevista. Ma anche questa era stata cosparsa di chiodi dall'odio sciocco e brutale dei malintenzionati, sicchè la carovana dovette procedere con molta lentezza. Essa potè proseguire grazie ai molti sportivi locali che fecero il possibile per rimuovere chiodi, filo spinato, vetri ed altri ostacoli. Al bivio di Miramare questi corridori rimontarono in sella e i numerosi bagnanti lungo la scogliera li accolsero facendo siepe attorno a loro, applaudendoli vivacemente. A Barcola già sventolavano le prime bandiere tricolori. Il centro cittadino, dopo aver appreso la notizia dell'inaudito gesto, aveva reagito riversandosi per le vie e imbandierando le finestre. Circa alle 15 iniziarono a sopraggiungere le prime macchine al seguito della sparuta pattuglia dei superstiti. Nonostante l'ora meridiana e la calura estiva, ali di folla si strinsero intorno a loro. Ovunque la folla inneggiava l'Italia.


Giunti all'ippodromo, i corridori vollero che fosse proprio il triestino Cottur, davanti a migliaia di spettatori, a compiere il giro d'onore. Il risultato sportivo non contava più nulla, ma ancora una volta fu importante l'attaccamento dei triestini all'Italia. Tutti i giornali nazionali, all'epoca dei fatti, riportando la notizia rilevarono che la misura era colma. Il significato politico e morale, di quel avvenimento può essere riassunto nella dichiarazione semplice e spontanea rilasciata dal corridore torinese Giacometti, del Fronte della Gioventù (all'epoca dei fatti questa era la denominazione dell'organizzazione giovanile dei Partito comunista italiano). Questi, mostrando ai giornalisti un pezzetto di ferro a più punte, da reticolato, uno dei tanti cosparsi lungo la strada , disse: "Lo porto a casa per far vedere agli amici di che sono capaci gli slavocomunisti".

A titolo di cronaca per il giro d' Italia del 2004 gli attivisti sloveni del Carso hanno imbandierato le strade con le bandiere slovene, e scritto sul'asfalto Trst je Nas e scritte antitaliane.


FREE TERRITORY OF TRIESTE

TERRITORIO LIBERO DI TRIESTE 

 

 

Click Picture to enlarge.The flag of the Free Territory of Trieste was flying 1945/1954 in the A zone ruled by the American-British forces and especially above the castle of Duino, which was the residence of the Military Cdt of the said zone, the General Officer Commanding BETFOR (British Element Trieste Force). The flag was lowered on the 5th of October 1954 when the Italians regained this part of the territory.

 The unique exemplar of the flag flying above the castle of Duino is kept now in the collections of the Imperial War Museum in London.

The AMG in Zone A was protected by two separate contingents of Allied servicemen, 5,000 Americans in TRUST (TRieste United States Troops) and 5,000 British in BETFOR (British Element Trieste FORce), each comprising crack infantry battalions complete with separate American and British command support units (Signals, Engineers, Military Police, etc) .Free Territory of Trieste (FTT), established, September 15, 1947, by Proclamation No. 1 of the Commander, British-United States Forces, in his capacity as Military Governor, BUSZ, in accordance with Section III of the Treaty of Peace with Italy, effective same day, which established FTT under United Nations (UN) auspices and provided for its provisional administration until such time as a governor, appointed by the UN Security Council, organized a permanent administration. FTT, consisting of the City and Port of Trieste and surrounding territory, was divided into Zone A (which included the City and Port), administered by AMG, BUSZ; and Zone B, administered by organizations of the Yugoslav Government. The provisional administration was continued, 1947-54, because of the UN Security Council's inability to agree upon the selection of a governor. By a Memorandum of Understanding between the Governments of Italy, the United Kingdom, the United States, and Yugoslavia, signed October 5, 1954, and subsequently accepted by the UN Security Council, the signatories agreed to an end of FTT provisional government and to the transfer, with a slight border adjustment, of Zone A territory to Italy and Zone B territory to Yugoslavia. By same memorandum, Italy agreed to maintain Trieste as a free port in accordance with terms of the Treaty of Peace with Italy. AMG, BUSZ abolished, October 26, 1954, with territory under its jurisdiction transferred to Italian Government.

 

On the 5th March 1946, Winston Churchill, in an address to Westminster College, Fulton, Missouri, made his famous "Sinews of War" speech including the following words:- "From Stettin in the Baltic to Trieste in the Adriatic an Iron Curtain has come down over Europe".

He went on to say, "....... the future of Italy hangs in the balance". 

 

 

The Peace Treaty signed in Paris by the Italian government on 10 February 1947 officially sanctioned the new borderline and a division of the two zones within the Free Territory of Trieste, a new political-administrative unit which extended from Duino to Cittanova in Istria and which encompassed 330 000 inhabitants in 741 km2.

 

Under the terms of the 1947 Peace Treaty with Italy, a Governor for the Free Territory of Trieste was to be selected
and appointed by the United Nations Security Council. Until such appointment was made, the United States, Great Britain, and Yugoslavia were to administer and protect that Territory.

Quarterly reports were submitted by the Anglo-American Allied Military Government to the United Nations,
detailing the recovery and evolution of that part of the Territory in their "Zone A".

Provisions were made in the Treaty for the three nations to provide a garrison of 5,000 troops each in
support of the emerging government, to be withdrawn at a point after the Governor had taken control of
the Territory. Relations between the American and British governments on the one hand, and the Yugoslav
government and communist bloc on the other hand, were such that the area of the Territory was divided
into two zones. Zone A, administered by Allied Forces Trieste - the American and British contingents -
was primarily the metropolitan area, while Zone B, administered by the Yugoslavs, was primarily the hinterland.

The Governor was never appointed. Although several well-qualified candidates had been proposed,
the East and West Blocs could not come to agreement on political and strategic issues.

 

"Waiting for a Governor" , the FTT kept also divided into two zones.

The truth was that nobody knew how to sweep off Tito's Army from the B zone.

Zone A, was 222 km2 and  had 262.000 inh. (232.000 Italians, 25.000 Slavics, 4.000 Germans)

Was comprising the northern part, administered by the Allied Military Government (AMG) including the cities of Trieste  (211.000 Italians and 11.000 Slovenes) and Muggia (13.000 Italians and 500 Slovenes), and the  rural villages on the highlands (22.500 Slovenes and 2.000 Italians).

 

 

Zone B, was 529 km2 and 68.000 inh. (54.000 Italians, 14.000 Slavics)

Yet occupied by the Yugoslavian Army since May 1945. 

This zone continued to be administered by Yugoslavian Military Government (STT-VUJA) and was comprising the southern part of FTT, including  urban (overwhelming Italian) areas ( Capodistria, Isola, Pirano, Buie, Cittanova, Umago and others, with 43.000 Italians and 1.900 Slovenes) and the rural areas in the north-west of the Istrian Peninsular ( 12.000 Slovenes or Croats, and 9.000 Italians).

 

The G.M.A in the A Zone

 

The AMG in Zone A was protected by two separate contingents of Allied servicemen, 5,000 Americans in TRUST (TRieste United States Troops) and 5,000 British in BETFOR (British Element Trieste FORce), each comprising crack infantry battalions complete with separate American and British command support units (Signals, Engineers, Military Police, etc) 

 

 In 1954, the FTT was disbanded, Zone A being handed over to Italy and Zone B was incorporated into Yugoslavia. 

 

 

The STT-Vuja in the B Zone

 

 The political life of the years of the Allied Military Government was lived out according to the book in the A Zone, whereas the B Zone immediately suffered the Yugoslavian action of violent coercion against the Italian communities (80% of population of the zone) .Italians were  the overwhelming majority,  particularly along the  coast ( up to 99 %). 

Capodistria, Isola and Pirano were assigned to Slovenes, the southern areas with Buie, Umago and Cittanova to Croats.

 

The Yugoslavs, since the first day, made use of intimidation through nightly summary arrests, popular kangaroo court trials, and the fast elimination of Italian professionals and workers.

Yugoslavs immediately took over all shops and enterprises, while the majority of fishermen and farmers were forced to work for the Authority.

 

In April 1946 the Slavic language was introduced  in the schools and in the administration of the rural and coastal areas, where 97% of  the population were Italian and didn't normally know even a single word of Slavic language.

During the nights Slovene soldiers used to introduce themselves in the homes and frighten the Italian autochthonous.

Who had his job in the A zone of FTT was the first to be  invited to leave definitively the B zone.

 

Later the  Slovenian and Croatian military authorities, in order to yugoslavize the towns began taking over "for administrative reasons" the  italian private homes.To  the displaced Italian families the Slovene Authority normally proposed a  rural house in an area where the Italian language was completely banned from schools and administration. People preferred to move to Italy, Australia and America.

In the area under the Slovenian military authority, i.e. in Capodistria, Isola and Pirano, the job was very good done, and practically every single Italian  inhabitant (27.000 of 30.000) had to move away . 

 

1900 Capodistria (now Koper ), la via Callegarìa.

 

 

 The Yugoslavs tried by all means to obstacle the circulation of people and merchandises between the two zones of FTT, and simple workers spent  sometimes until 10 hours to cross the border between the two zone of the so-called "Free" territory, while the farmers and fishermen could no more sell their product in the great town of Trieste.

Even if  it was formally prohibited by the Peace's Treaty , the Yugoslavian Authority introduced in 1948 a new worthless currency : the Yugolira.

Yugoliras had practically no worth (the Economy in the B zone was practically reduced to zero), but at the border everyone was entering the yugoslav zone  (poor workers coming back to their homes in the B zone included) , had its money obligatory changed by Yug. military authorities with an absurd ratio Lira 1:1 Yugolira.

 

The Yugoslavs were inciting the little (but steadily increasing with new forced yugoslavian immigration) Slovene minorities hatred of Italians, all depicted as 'bourgeois Fascist Imperialists and collaborators'.

 

The majority of the Italians,  without job and without home, terrified by Slovenes , preferred to leave the B zone and emigrated to Italy, Canada or Australia.

 

Their houses were given to Slavic and Moslem peasants called from the South of Yugoslavia. 

Still today  historical centers are partially unoccupied.

 ( Central Pirano center had 7.000 inh. in 1945, but has only 700 now)

 

It was something which was ongoing not only in the Ftt but in  the whole of urban centers of the former Italian territories of the eastern part of Adriatic.

Since 1920 on the Dalmatian coast, and since 1944 in Istria, Fiume and Quarnero Islands.

Though the exodus was not as sudden as that of the Albanians in Kosovo, about 300,000 ethnic Italians fled socialist Yugoslavia in the decade following World War II. Violence, deportations, religious persecution and physical and psychological terrorizing made many ethnic Italians believe they had no choice but to leave their homes on the Istrian Peninsula.

 

Finally all Italian, including farmers and fishermen had to emigrate from the B zone.

In the following years up to 40.000 Italians, from workers and fishermen to professionals, were forced to mass migration or 'ethnic cleansing' from zone B in a forerunner of the horrors that have swept the Balkans since the collapse of the Yugoslav federation.

Only 2.700 (of 20.000) Italians remain in the area under slovenian control, and 8.500 (of 30.000) in the croate area.

 

So ended the complex events of the eastern border, which nonetheless left open wounds, with a human cost – the foibe and the exodus – which can not easily be erased.  The situation of the Italians who remained across the border was a cause for controversy, owing to the difficulties that the Italian communities face still today  in openly expressing their own cultural identity.

 

 LA PERSECUZIONE DEI RIMASTI IN ISTRIA


I rimasti in Jugoslavia furono rapidamente snazionalizzati o eliminati.

Infatti, tutti i censimenti del dopoguerra hanno segnato una flessione della consistenza della comunità italiana: anche al di là dell’attendibilità delle cifre assolute, la tendenza risulta chiara, tanto che rispetto ai rilevamenti del 1948 e del 1953, quando in Jugoslavia risultavano dimoranti rispettivamente 79.575 e 35.974 cittadini di nazionalità italiana, nel 1961 la consistenza numerica degli appartenenti al Gruppo nazionale italiano (Gni) si vedeva ridotta a 25.615 unità. Il numero era destinato a scendere ulteriormente sia nel 1971 che nel 1981, quando il calo demografico registrò 21.615 e 15.341 appartenenti alla comunità italiana.

IZSELJEVANJE IZ CONE B PO LONDONSKEMU SPORAZUMU 

 

Po mnenju italijanskih je oblasti italijansko prebivalstvo v Istri doživelo izgon,prisilno migracijo. Ta naj bi se dogajala zato, ker so bili ljudje, »prisiljeni zapustiti svoj dom zaradigroženj ali se je za prepricevanje uporabila sila, pa tudi zato, ker naj bi nastala negotova situacijazaradi nasilnih razmer, kot so vojna, revolucija in podobno. Obstajal pa je tudi utemeljen strah predpregonom«. (Stola, 1992) Glavni krivec za izgon naj bi bila prav tako mešanica ideoloških innacionalnih razlogov. »Slavocomunisti«ali »Titini«, kot so imenovali komuniste, pa tudi ostale Jugoslovane, naj bi si namrec že kmalu po kapitulaciji Italije poželeli njenega ozemlja, ne pa tudinjenega prebivalstva. Politiko izgona Italijanov naj bi zaceli uresnicevati postopoma, od vzhoda protizahodu. Tako naj bi po navodilih partizanov prišlo do vrste zavezniških bombardiranj mesta Zadar, kiga je nato zapustila velika vecina prebivalcev italijanske narodnosti. (Volk, 2001) Odšli so tudi Italijani iz Splita, Šibenika in okolice. Proti koncu poletja 1945 se je zacel odhod z Reke, Pule inostalih istrskih mest in vasi. Njihove prebivalce naj bi preplašile genocidne namere, ki so jih partizaniže demonstrirali po kapitulaciji Italije, ko naj bi v »foibah« izginilo okoli 1500 ljudi.(Fogar, 1983) Pravtako naj bi nova ljudska oblast v teh krajih zacela z nacrtnim ustrahovanjem italijanskega prebivalstva,proti njim pa je bil naperjen tudi vsak odlok, ki ga je sprejela. Prišlo je tudi do dolocenega kulturnegašoka, saj se je mnogo mešcanov po koncu vojne pravzaprav prvic srecalo s slovenskim in hrvaškimživljem iz notranjosti Istre. »Danes lahko z »zadovoljstvom« gledamo plapolati na desetine slovenskihin rdecih zastav in poslušamo slovenske pesmi, ki jih ne razumemo. Po ulicah italijanskega Kopra plapolajo slovanske ter ruske zastave in njihove pesmi žalijo naša ušesa«, (Derin, 2001) je v pismih svoji sestri v Trstu zapisala obupana prebivalka mesta Koper. S postopnim uvajanjem novega družbenega sistema, se je stanje samo še slabšalo. Sodni procesi, ki so bili naperjeni proti nasprotnikom ljudske oblasti, naj bi bili vecplastni. Prizadeli so vidnejše pripadnike italijanske narodnosti, ki so bili zaprti ali pregnani, odvzeto jim je bilo premoženje, njihov primer pa je služil kotnemo opozorilo ostalim. Nova oblast se je lotila tudi cerkve in vere, ki »je bila mocna takrat, in to naposeben nacin, danes je drugace, bila je ljubezen do boga, bila je vera, vsa ta cudovita vera, iz katere jeizhajala enotnost med Istrijani« (Ballinger, 1998).Ker je bila cona B Julijske krajine in kasneje cona B STO tako rekoc cez noc odrezana od svojih naravnih središc, Trsta in Gorice, s Slovenijo pa še niso bile utecene gospodarske vezi so se pojavilitudi problemi gospodarske narave. V Istri je še vedno veljala racionirana preskrba, ljudje so živila prejemali le na živilske karte. Zaradi naglega odliva lir v Trst je bila ta valuta ukinjena in zamenjana zJugolirami. »Veliko družin je zaradi tega obubožalo« (Ballinger, 1998). To je spodbudilo koprske mešcane, da so organizirali demonstracije, ki pa so bile grobo zadušene. Odpeljanih je bilo tudi velikostrojev iz tovarn, predvsem iz Izole ter njihova ribiška flota. (Basioli, 1982) Do februarja 1947 je bila koncana tudi agrarna reforma, ki je izhajala iz nacela, da mora zemlja pripadati tistemu, ki jo obdeluje.Razlašcenih je bilo 626 posestev in 5 veleposestev oziroma 2289 hektarov zemlje, od katere je 1664 hektarov pripadalo posestnikom italijanske narodnosti. (Zagradnik, 1997) Le to naj bi razdelili 1058 kolonom in malim kmetom. Prišlo je tudi do prekomernega obdavcevanja obrtnikov. S tem naj bi jihnova oblast prisilila, da prenehajo svojo pridobitno dejavnostjo in vstopijo v državno gospodarstvo. Množicno naj bi se tudi odpušcalo delavce italijanske narodnosti.

Problemi so se pojavili tudi v notranji politiki obalnih mest. 

Epuracija naj bi zamenjala vladajoci razred, kompromitiran s fašizmom, z drugimi ljudmi, ki so bili zvesti novemu režimu. (Spazzali, 2000) 

Vendar pa je v sveže formiranih ljudskih odborih kmalu prišlo do sporov. Razlogi za ta razkol so bili predvsem ideološke narave. Jugoslovanska oblika socializma naj bi namrec vsebovala mocan nacionalni naboj, kar je nasprotovalo internacionalnemu duhu socializma, ki ga je propagirala njegova 

 Ko je bila konec junija 1948 objavljena resolucija Informbiroja, so seitalijanski komunisti, ki so imeli v obalnih mestih vodilne pozicije, opredelili za resolucijo. (Kramar,2002). 

Prišlo je do pravega ideološkega spopada, v katerem je zmagala struja, ki je podprla Tita in Centralni komite Komunisticne partije Jugoslavije in v kateri so prevladovali Jugoslovani. Veliko italijanskih komunistov je bilo aretiranih, drugi so izgubili svoje pozicije, veliko pa se jih je izselilo.

Višek politicnega nasilja pa naj bi bile volitve v organe oblasti v coni B STO. Te "demokraticne" volitve, na katerih sta poleg režimske Slovansko - italijanske socialisticne unije (SIAU) nastopili tudi neodvisna Socialisticna stranka STO in kršcansko-socialna skupina pod vodstvom don Mussize, so Italijanom zaradi nasilja in ustrahovanja znanih proitalijanov in tistih, ki niso volili, ostale v slabem spominu. (Colummi, 1980) Vse to naj bi pripeljalo do množicnega izseljevanja Italijanov, ki soodhajali v Trst, od tam pa v Zahodno Evropo, ZDA, Avstralijo, Kanado, Argentino, Urugvaj in šekam. Prisilna migracija naj bi bila tako vzrok za mednarodno migracijo in za vse trpljenje, ki je bilo stema dvema migracijama povezano.Jugoslovanski režim je v praznino na Koprskem, ki je ostala za Italijani in nekaterimi Slovani, nacrtnozapolnil s tokom ljudi iz notranjosti Istre, Slovenije in kasneje cele Jugoslavije ter tako popolno maspremenil etnicno, kulturno in socialno sliko tega ozemlja. V obalnih mestih je bila umetno izoblikovana nova identiteta, ki ni vec temeljila na romanskih in italijanskih koreninah, temvec je zasvoje gonilo po nareku oblasti izbrala mešanico identitet ljudi, ki so bili na novo naseljeni.(Nodari,2001) Italijani, ki so bili izgnani, naj bi Istro, kjer so živeli, v obliki spominov in kulture odnesli s seboj po svetu. Tako naj bi današnja Istra ne imela nicesar skupnega s svojim historicnim razvojem, kije trajal do leta 1945 in je bil nato prekinjen. (Ballinger, 1996)

 

 UVOD V ZADJI VELIKI VAL MNOŽICNE IZSELITVE

V zacetku oktobra 1953 je zaradi anglo-ameriške note, ki je upravo cone A STO prepušcala Italiji,ponovno prišlo do zaostrovanja med Jugoslavijo in Italijo. Ponovno je prišlo do nasilja nad ljudmi, kiso jih smatrali za naklonjene Italiji. Zapora meje pa je veliko število ljudmi iz cone B STO, ki so bili zaposleni v Trstu postavila pred izbiro med tem, da ostanejo brezposelni doma, ali pa da zapustijo domin gredo živet tja, kjer so zaposleni. Vse to je bil uvod v zadnji veliki val izseljevanja iz okraja Koper.

Prvi valovi izseljencev iz obcin Koper-mesto, Koper-okolica, Izola, Piran, Marezige, Dekani, Portorož in Secovlje tako preplavili mejni prehod Škofije. V enem letu naj bi iz mesta Koper odšlo 910, iz njegove okolice pa 123 ljudi. Ob morju je Piran izgubil 831, Izola 1201, Portorož 110, Secovlje pa 29prebivalcev. Iz zalednih obcin Dekani in Marezige naj bi odšlo 136 ljudi, od tega 131 iz Dekanov in 5 iz Marezig. (Ploj, 2002) Val se še ni polegel, ko je 5 oktobra naslednjega leta prišlo do Londonskega memoranduma, ki je cono B STO prepustil Jugoslaviji. Ljudje so se izseljevali še naprej, edina vecja razlika pa je bila v tem, da so prošnjo s katero so prosili za izselitev namesto na Vojaško upravo jugoslovanske armade zdaj naslavljali na civilno oblast oziroma na Tajništvo za notranje zadeveokraja Koper. Pred obcinskimi zgradbami istrskih mest in vasi so se spet pojavile dolge vrste ljudi, kiso oddajali obrazce, da bi zase in za svoje družine pridobili dovolilnico za izselitev v Italijo.

 IZSELJEVANJE PO LONDONSKEM MEMORANDUMU

S sprejetjem Londonskega memoranduma sta okraja Koper in Buje dokoncno prišla pod Jugoslavijo.

Vojaško oblast je zamenjala civilna, prebivalstvo pa je bilo vkljuceno v »Jugoslovanski eksperiment«,kot se je imenoval popolnoma nov model družbe, ki je po mnenju Zveze Komunistov Jugoslavijo postavil na mesto najnaprednejše sile na svetu. Vendar to ni zavrlo množicnega izseljevanja prebivalcev Istre. Cedalje vec ljudi je oddajalo prošnjo za izselitev v Italijo, obalna mesta so se naglopraznila. V letih 1955 in 1956 naj bi tako iz koprskega okraja odšlo 16.062 oseb. (Argenti-Tremul,2001)

Te številke povedo veliko, ne pa vsega.

Na vsak nacin je le na tej osnovi težko odgovoriti navprašanje, kako sploh poimenovati dogajanje, ki je Istro in njeno prebivalstvo prizadelo po drugisvetovni vojni. Prisotni so mnogi problemi, ki jih gola preštevanja odhajajocih niso zmožna rešiti. 

Številke je namrec politika v preteklosti že izkoristila v svoj prid. »Manjka celovitejša slika dogajanja,zato o vzrokih za tako množicne izselitve še vedno lahko le domnevamo.« (Troha, 1999)

Vendar pa je po pregledu arhivskih virov postalo jasno, da so vsi, ki so v tem casu odhajali izkoprskega okraja za seboj pustili številne sledi v obliki najrazlicnejših dokumentov. Najvec virovhrani Pokrajinski arhiv Koper, predvsem v fondu Tajništva za notranje zadeve okrajnega ljudskega odbora Koper. Prosilci oziroma nosilci dovolilnice so v dokumentaciji, potrebni za pridobitev te važnelistine za izhod, podali podatke o svojem imenu, priimku, spolu, starosti in narodnosti, o svojihdružinskih povezavah, ter datumu odhoda. Ugotoviti se da tudi, kje so živeli, katere nepremicnine soposedovali ter kaj od svojega premoženja so želeli odnesti s seboj v Italijo. Možen je tudi vpogled vnjihovo davcno in kazensko zgodovino, vcasih pa je na voljo tudi mnenje o kandidatu za izselitev, kiga je podala komisija pristojnega ljudskega odbora ali pa skrivnostni IV. odsek Uprave za notranjezadeve Okraja Koper. Za boljšo predstavo o socialni sliki odhajajocih je pomembno poznati tudipodatke o njihovem poklicu in o temu, ali so bili zaposleni ali brezposelni. Ker je oblasti zanimalotudi, zakaj odhajajo, so na voljo tudi odgovori na to vprašanje. Vendar pa je treba upoštevati, da je lemalo kdo odgovoril po pravici, saj je bil prisoten strah pred sankcijami. Seznaniti se da tudi znaj razlicnejšimi problemi, s katerimi so se prosilci preko pisem spopadali z birokracijo, ki vcasih ni inni hotela izdati dovolilnice. (Gombac, 2001)Zaradi kompleksnosti vseh teh podatkov, specificnosti multietnicnega obmejnega prostora, ki sta ga vsvoj vrtinec potegnili dve mocni ideologiji ter obcutljivosti fenomena množicnega izseljevanja, je vteku obsežna raziskava. Le ta naj bi odgovorila na nekatera najbolj pereca vprašanja, ki si jihvsakodnevno zastavljajo politiki z obeh strani meje ter skušala bolje ovrednotiti samo dogajanje.Posegla naj bi tudi globje v razkrivanje socialne mreže tako posameznih mest in vasi, kot tudi okrajakot celote v prostoru in casu.

 

IZSELJEVANJE IZ IZOLE

 

 

Izseljevanje izolskih delavcev se je poveèalo tudi zaradi negotove gospodarske situacije, kot npr. ko so iz tovarn Arrigoni in Ampelea (1947/48) odpeljali stroje, surovine itd; njihova vrednost je bila okoli milijarde in pol lir. Po prvi izselitvi do leta 1945 lahko štejemo obdobje od leta 1948-52 za drugo obdobje izseljevanja, za katero pa je znaèilno majhno in postopno izseljevanje. V izpraznjene hiše in stanovanja so naselili priseljence.
Kot tretje, najmnožiènejše obdobje izseljevanja, pa lahko štejemo v èasu od konca leta 1953 do 1956. Izolani so emigrirali najprej iz obmoèja 4 sektorjev na bivšem otoku in iz dveh sektorjev pred otokom. Od 7. 6. 1953 do 30. 12. 1954 si je v Izoli 1051 Izolanov nabavilo tiskovine za izselitev v Trst. Optanti so delali sezname blaga, ki so ga hoteli prenesti v cono A. Objavljen èlanek bo obsegal v 10 strani dolgi prilogi seznam emigrantov 1953-1954, ki so pustili svoje nepremiènine. Italijanski državljani so po Londonskem memorandumu vložili prošnjo za izselitev, krivdo za množièna izseljevanja je imela tudi italijanska vlada, ki je širila vesti, da bo cona B prikljuèena k Italiji. OLO Koper je 8. 7. 1955 izdal navodilo za izvoz premicnin, to pravico so imeli izseljenci, izvzete premicnine so bile gotovina, valute, zlato v palicah, zašciteni kulturni in umetniški predmeti itd. Za transferje denarja prek podružnice Narodne banke v Kopru so bila potrebna potrdila ljudskih odborov, da je bil denar pridobljen s prodajo premicnin in nepremicnin in s prihranki. Nadzor je opravljala Okrajna komisija Koper.
Iz tovarn Ampelea, Arrigoni in drugih podjetij je odšlo do 90 % delovne sile, širile so se tudi govorice, da bodo delavci odšli v Avstralijo v tovarne ribje industrije. Število Italijanov v tovarnah se je zmanjšalo na nepomembne odstotke. V tretji izselitvi se je namrec izselilo 95 % ribicev, ostalo jih je le za eno ladijsko posadko. Nad 300 kmetov iz vasi Baredi, Livade, Polje, Dobrava, Šared, Cetore itd. je vložilo prošnjo za izselitev. Vsem so bile prošnje ugodno rešene.
Mnogi so pred izselitvijo rezali trte in unicevali hiše. Razmere v coni B so postale dramaticne. Izola z okolico je bila skoraj brez ljudi.

 

 

Negli stessi anni si registrò anche il fenomeno del “contro-esodo rosso”. Comunisti italiani, specialmente maestranze dei cantieri di Monfalcone, emigrarono in Jugoslavia, spinti dall’utopia stalinista e da una sincera fede nella causa socialista. Incentivati dal PCI, che li aiutò anche  trasferirsi clandestinamente, nel ’47 i “monfalconesi” cominciarono ad arrivare in Jugoslavia. Inizialmente accolti a braccia aperte, fedeli a Stalin, ben presto vennero abbandonati da Tito, a seguito della rottura con il leader sovietico. Quelli di loro che non riuscirono a mettersi in salvo, magari riattraversando il confine, furono deportati nei lager dell’interno e delle isole.

 

 “Le ragioni della politica internazionale e di quella nazionale”, ha scritto  Oliva ( di cui sconsigliamo comunque di acquistare il  libro Foibe, zeppo di false notizie), “ hanno contribuito a limitare l’approfondimento e la conoscenza” degli avvenimenti che interessarono la Venezia Giulia. La questione del confine nordorientale fu presto messa a tacere se non, in tempi più recenti, fortemente strumentalizzata. Per circa un cinquantennio, la Venezia Giulia rappresentò il confine più chiuso d’Europa, lo spartiacque ideale tra due blocchi ideologicamente antagonisti: gli Stati Uniti e l’Urss.Anche qui ennesima mistificazione: il confine veniva spudoratamente reclamizzato come il più aperto d'Europa, ma chi passeggiando si avvicinava alla linea di demarcazione veniva mitragliato , e lo stesso accadeva a chi con la barca finiva per errore in acque slave.

 

Per quasi cinquant’anni, lo spaventoso ricordo di quelle stragi fu colpevolmente rimosso dalle principali forze politiche italiane: i successivi governi a guida DC non volevano turbare i rapporti con la Jugoslavia, che dopo la rottura con Mosca nel 1948 era diventata una pedina chiave per contrastare l’egemonia sovietica sui Balcani; i comunisti, che avevano favorito la cessione delle provincie giuliane e dalmate a Belgrado e partecipato attivamente alla eliminazione di coloro che vi si opponevano, avevano dal canto loro tutto l’interesse a che questo capitolo di storia cadesse nel dimenticatoio e hanno sempre tacciato di “revanscismo” coloro che volevano riportarlo all’onore delle cronache.

 

Questo atteggiamento di chiusura si rifletté anche sulla accoglienza riservata ai circa trecentomila profughi delle provincie perdute, gli unici italiani ad avere pagato di persona per la sconfitta: al loro arrivo in patria (una parola che a quel tempo non era neppure più in uso) essi furono infatti accolti non come italiani con la “I” maiuscola, ma come scomodi e indesiderabili protagonisti di una tragedia che tutti gli altri preferivano dimenticare. Neppure quando Milovan Gilas, dopo avere rotto con Tito, ammise testualmente che “Nel 1945 io e Kardelj fummo mandati in Istria con il compito di indurre tutti gli italiani ad andare via con pressioni di ogni tipo”, la classe politica italiana ritenne opportuno riaprire il dossier.

 

Dopo il 1954 i governi italiani comunque mantennero nei confronti della Jugoslavia un atteggiamento rassegnato e remissivo, che culminò nel 1975 nella firma del trattato di Osimo: un trattato negoziato nel massimo segreto per evitare ogni forma di dibattito, che sanzionò la definitiva cessione a Belgrado della zona B dell’ex Territorio libero di Trieste, amministrata fin dal 1954 (ma in una situazione di dubbia legalità) dagli slavi; un trattato che, nello stesso tempo, accettava un risarcimento risibile per la confisca dei beni degli esuli ad opera del regime titino. Non per nulla, i pochi spiriti liberi del Parlamento italiano, con in testa la medaglia d’oro Luigi Durand de la Penne, votarono contro la sua ratifica, nella speranza che il vento stesse finalmente cambiando e che presto ci sarebbe stata la possibilità di ottenere condizioni meno onerose. 

Una occasione per impostare i rapporti con i vicini orientali su nuove basi si presentò in effetti nel 1992, con la dissoluzione della Jugoslavia. Sia la Slovenia, sia la Croazia – cioè le due repubbliche direttamente interessate al rapporto con l’Italia – chiesero di subentrare a Belgrado come partner del trattato di Osimo. Sarebbe stato perfettamente legittimo, da parte del nostro governo (presidente del Consiglio Giuliano Amato, ministro degli Esteri Emilio Colombo) invocare la clausola delle “mutate condizioni” e chiedere, come contropartita al riconoscimento diplomatico, la revisione di alcune sue parti.

 Invece, la Farnesina si limitò ad accettare il fatto compiuto, perfino rallegrandosi delle buone intenzioni di Lubiana e Zagabria.

 

 

 E quando, due anni dopo, il  governo Berlusconi cercò  di mettere come condizione per l’ingresso della Slovenia nell’Unione Europea, la restituzione, totale o almeno parziale, dei beni abbandonati ai legittimi proprietari, Lubiana si trincerò dietro il muro del pacta sunt servanda: tutto quello che l’Italia, (dove nel frattempo era tornato al potere il centro-sinistra, in genere meno sensibile al problema) riuscì a strappare, fu il cosiddetto lodo Solana, cioè un accesso privilegiato degli esuli al mercato immobiliare delle zone da cui erano fuggiti, che gli sloveni non hanno avuto certo difficoltà a eludere.

Tuttora i cittadini italiani non possono proprio, a differenza di francesi o tedeschi o inglesi, comprare immobili né in Slovenia né in Croazia !

 

In sintonia con un mutato atteggiamento dell’opinione pubblica, i vari governi dovrebbero pure assumere atteggiamenti più fermi di fronte alle prepotenze che, nel loro sciovinismo, Slovenia e  Croazia continuano a commettere nei confronti delle rispettive minoranze italiane sopravvissute al genocidio.

 Forse avvertendo un chissà quale pericolo che la superiorità economica e culturale dell’Italia potrà rappresentare per loro in una situazione di frontiere aperte, le due repubbliche reagiscono spesso in maniera isterica appena si nomina  nella dizione italiana una città istriana o dalmata. 

Le occasioni in cui i nostri vicini si sono pesantemente intromessi a sostenere gli sloveni in Italia si contano a migliaia, e la reazione da parte nostra è stata solo quella di esguire quanto richiesto.

Dall'altro lato, ancora pochi mesi fa uno striscione che  auspicava un trattamento a livello europeo per la minoranza italiana, viene definito dal Sindaco di Koper -Capodistria come inaccettabile interferenza negli affari interni e un pericoloso attentato alle " amichevoli" relazioni tra Italia e Slovenia.Sono  espressioni che ricordano molto quelle usate da Tito.

Il ministero degli esteri  sloveno  l'anno scorso ricorse alla menzogna plateale di Stato protestando ufficialmente  presso il Governo Italiano con una comunicazione diplomatica   "perchè nella provincia di Trieste con una legge viene tolto alla minoranza  slovena in Italia il diritto di ottenere le carte di identità bilingui  italiano/sloveno" .

 

Questa esternazione, lo sappiamo tutti, è senza alcun aggancio con la realtà ( nessuno mai  qui ha nemmeno parlato di togliere alla minoranza slovena il diritto alla carta bilingue). In verità ciò che si voleva era limitare i diritti della maggioranza italiana, ovvero impedire  l'applicazione di una legge dello Stato che consente che chi lo desidera possa ottenere i documenti in sola lingua italiana, come tutti i  cittadini di questo Paese. 

 

Il ministero sloveno aggiungeva alle sue farneticazioni un appelloall' allegato II del Memorandum di Londra, ....un allegato cioè che sin dal 1975 fu però espressamente abrogato dal Trattato di Osimo, tanto caro agli jugoslavi, ma che il loro ministero non conosce molto bene.

 

Il fatto  triste è comunque che i Governi del mondo , leggendo la protesta diplomatica slovena, ci avranno creduto ( si può ipotizzare che un ministero farnetichi menzogne plateali ?) e pensato malissimo dell'Italia, che come al solito si è ben guardata dal pretendere una rettifica pubblica. Del resto gli sloveni  applicano provvedimenti che rasentano il genocidio per la minoranza tedesca in Slovenia, che sono l'unica minoranza nei paesi dell'est a non essere riconosciuta e viene ostacolata in ogni modo, poi ogni secondo giorno sono a lamentarsi nei confronti...dell' Austria  la quale invece la minoranza slovena la tratta con i guanti, come e più di quanto avviene con gli sloveni in Italia, che nemmeno devono preoccuparsi di lavorare, avendo sovvenzioni di ogni tipo e posti riservati, belle prerogative, che pagano tutti gli italiani.

 La faccia di bronzo degli sloveni è talmente spessa da apparire inossidabile a qualsiasi verità logica.

 

I rappresentanti degli  sloveni di Trieste intanto, che , sembrerebbe, avendo già tutti i diritti, ora guardino a limitare quelli della maggioranza italiana, urlavano come aquile, dicendo che solo un'esigua parte, di fascisti, era interessata ad avere le carte solo in italiano. 

Gli  attivisti sloveni,  fecero due ricorsi al TAR, il quale pur parteggiando tradizionalmente per slavi e comunisti, non potè proprio trovare appigli per togliere altri diritti agli italiani residenti in Italia.

In realtà i  documenti d'identità bilingui, di colore e di aspetto differente dal normale, sono sempre stati poco graditi alla popolazione della provincia di Trieste, poichè spesso vengono credute documenti finti e fasulli  in Italia e ancor più spesso all'estero, , dove alla prima scritta in una lingua dell'est tutti si allarmano,e si sono letti spesso sul giornale i racconti di chi  di non poteva passare le frontiere,  perdeva l'aereo,  non poteva cambiare assegni ecc. e altre cose incresciose. Inoltre più di qualcuno è stato persino arrestato per errore e tradotto in carcere come criminale perchè le carte bilingui possono avere gli stessi numeri di quelle normali distribuite in Italia magari a qualche criminale. Figuriamoci chi le può volere !

Difatti appena fu possibile  chiedere la carta solo in italiano , a Duino Aurisina (dove gli italiani costituiscono il 70 % della popolazione) la percentuale di coloro che richiesero la carta solo in italiano è stata di oltre il...70%.

 Non solo tutti gli italiani (comunisti inclusi) ma anche alcuni sloveni quindi richiedono la carta solo in italiano.

Avevano detto la SKGZ e le sinistre riunite , che interessava solo ai fascisti, e invitavano i veri democratici di lingua italiana a chiedere la carta bilingue, per  solidarietà. Proprio nessuno, all'atto pratico, ha dato loro retta.

 

Intanto a San Dorligo , dove gli italiani sono  il 40 per cento, vige invece il terrore, e il sindaco slavo comunista si rifiuta di rilasciare  carte solo in italiano, che per paura nessuno più nemmeno chiede.

 

Questo accade in una provincia dove gli sloveni col 5% della popolazione comunale di Trieste e con l' 8% nell'intera provincia ( nel 1971, che poi non hanno mai più voluto farsi contare, avendo il popolo sloveno la prolificità più bassa del mondo) 

Hanno a disposizione mezzi immobiliari e finanziari impensabili,  pagati da tutti i contribuenti italiani.

Teatri dove il pubblico deve essere portato con gli autobus prelevandolo oltreconfine in Slovenia, e dove pur di avere qualche spettatore  hanno messo i sottotitoli in italiano ( con orrore e sdegno di diversi esponenti sloveni, che vedono l'italiano come fumo negli occhi.) Dove personaggi sloveni che parlano l'italiano meglio di noi, e arringano in italiano alla radio, si rifiutano di pagare le multe perchè non sono scritte in slavo. (Provate a farlo in Slovenia, dove se non avete subito pronto in tasca   l'esatto importo di Tolari , i poliziotti della milizia vi sequestrano auto e documenti!)

Ci sono scuole di ogni ordine e grado in lingua slovena, ma in molte  buona parte degli alunni arriva da oltreconfine.

Il  medesimo  giornale che nel 1945 ineggiava alle foibe , è stampato a nostre spese ancora oggi in migliaia di copie che non vendono, e il cui deficit miliardario è pagato dal contribuente italiano

SE qualcuno capisse lo slavo vedrebbe che le loro opinioni non hanno cambiato molto.

Le trasmissioni tv slovene sono trasmesse su una frequenza supplettiva,  costano 30.000 euro all'ora ma non trasmettono che vecchi filmati di archivio di cori sloveni replicati mille volte, vecchi filmati di canzonissima in bianco e nero (sic) e poi cartoni animati  senza parlato degli anni settanta ( c'è molta differenza tra un cartone animato non parlato in italiano e uno non parlato in sloveno, per questo occorre una frequenza apposita e per questo ci costano 30.000 all'ora)

 

La domanda cui bisognerà trovare una risposta, se possibile omogenea, è la seguente: quali sono i diritti delle genti che, in seguito alla sconfitta del loro Paese e alla perdita delle province in cui risiedevano, sono state costrette a prendere la via dell’esilio? E’ ammissibile che esse siano state costrette a pagare di persona per colpe non loro e che non riescano a ottenere giustizia neppure in un’Europa avviata verso l’unità? Se dobbiamo essere tutti fratelli in un continente senza frontiere, è evidente che, senza nulla modificare negli assetti territoriali, qualcosa a favore degli esuli e dei loro discendenti dovrà essere fatto.

 

 

LE 10.137 VITTIME DEI 42 GIORNI DELL'OCCUPAZIONE JUGOSLAVA A TRIESTE ZONA A

Già nel 1944 il Ministero degli esteri italiano inviò a Washington un dispaccio, in cui avvertiva il Governo americano che secondo quanto risultava a Trieste, i comunisti sloveni avevano già preparato una lista di 15.000 persone che i partigiani di Tito avrebbero dovuto immediatamente eliminare una volta entrati a Trieste.


Quando gli slavi furono costretti a abbandonare la città, dopo i 42 giorni, le loro vittime "realizzate" furono in realtà solo 10.137: 994 infoibate, 326 accertate ma non recuperate dalle profondità carsiche, 5.643 vittime presunte sulla base di segnalazioni locali al G.M.A. o altre fonti, 3.174 morti nei campi di concentramento jugoslavi. Gli mancò il tempo per completare la lista.


Queste cifre danno non solo la dimensione dell’avvenimento ma ci inducono a riflettere sul fatto che certo non tutti si erano macchiati di delitti di guerra, non tutti erano compromessi col regime. Molti perirono per il solo fatto di essere italiani, di rappresentare un’etnia che si voleva se non cancellare rendere praticamente irrilevante sul piano politico e sociale.
La rimozione per 40 anni che venne fatta dell’accaduto fu resa possibile per una serie di circostanze quali la rottura tra Tito e Stalin, la necessità dell’Occidente (in piena guerra fredda) di appoggiare quest’ultimo e quindi passare sopra ad episodi come le foibe, la sudditanza del PCI agli interessi del comunismo internazionale (prima contro Tito e poi con Tito contro l’URSS). Un groviglio di interessi che fece sì che la questione fosse ricordata soltanto a livello locale (e di fatto solo dall’estrema destra locale) mentre a livello nazionale tutti preferirono “rimuovere”.
E dunque non pare sbagliato oggi cercare di approfondire e di capire, chiarire tutti gli aspetti, mettere da parte le idee preconcette.
Con questo non si fa, come pare credere qualcuno, un’opera di revisionismo ma si cerca un’opera di chiarezza. 

E non si vuole con questo accomunare in modo acritico e indistinto “tutti i caduti”. 

Questa comunanza può essere solo nel rispetto che ispira la morte. Non certo nel non distinguere quanti si batterono per un ideale di libertà e di democrazia da quanti lo fecero in nome della dittatura fascista e/o comunista e del servaggio a Berlino o a Mosca e Belgrado.