|
FTT - TLT
|
|
|
|
|
|
|
MOMIANO
CITTANOVA
DAILA
VERTENEGLIO
|
|
CAPODISTRIA
|
|
TRIESTE
|
|
MUGGIA
|
|
GRISIGNANA
|
|
DUINO
|
|
PIRANO
|
|
THE 16 MUNICIPALITIES of THE FREE
TERRITORY of TRIESTE
|
- DUINO
|
- MUGGIA
|
- TRIESTE
|
-
CAPODISTRIA
|
- ISOLA
|
- PIRANO
|
- UMAGO
|
-
GRISIGNANA
|
-
CITTANOVA
|
-
VERTENEGLIO
|
- BUIE
|
- SGONICO
/ ZGONIK
|
- MONRUPINO
/ REPENTABOR
|
- MARESEGO /
MAREZIGE
|
-MONTE DI
CAPODISTRIA / SMARIJE
|
- SAN
DORLIGO DELLA VALLE / DOLINA
|
- VILLA
DE'CANI / DEKANI
|
|
LA
SITUAZIONE ETNICA
Il Territorio Libero di Trieste
aveva un’estensione di 738 kmq di cui
222,5 costituivano la Zona A e 515,5 la
Zona B. La prima comprendeva la città di
Trieste, i comuni costieri italofoni di
Muggia e Duino e altri quattro piccoli
comuni carsici slavofoni (Aurisina, Sgònico,
Monrupino, San Dorligo della Valle), e
praticamente non è altro che un piccolo
arco intorno al porto di Trieste. La
seconda comprendeva i comuni
italofoni di Capodistria,
Isola, Pirano, Umago, Cittanova e
Buie, Verteneglio, Grisignana nonchè
quelli slavi di Villa Decani, Marèsego,
Monte di Capodistria.
La Zona B altro non era che l’orto di
Trieste, e la città a sua volta
rappresentava il mercato di vendita dei
prodotti ortofrutticoli e del pesce
provenienti da quei paesi. Molti erano in
tempi normali gli istriani che da Capodistria e da
Isola si recavano giornalmente a lavorare
a Trieste. Va aggiunto che qualche parte
dei comuni di Duino-Aurisina, Monrupino,
Trieste, San Dorligo, Villa Decani, Marèsego,
Grisignana, Cittanova è stata annessa
alla Jugoslavia col trattato di pace, il
quale aveva peraltro attribuito al T.L.T.
piccole porzioni disabitate di comuni
passati alla Jugoslavia: 32 ettari già di
Parenzo, 16 già di Visinada, 147 già di
Sesana.
La popolazione della Zona A era
costituita da 262.000 persone, di cui 240.000
nella sola Trieste, 12.000 a Muggia, 4.000
a San Dorligo.
Molto inferiore è invece la popolazione
della Zona B che, , sarebbe stata di
71.150 persone.
Il censimento secondo la
lingua d’uso svolto nel 1921, e quelli
compiuti ai tempi dell’impero
austro-ungarico secondo il principio
della lingua d’uso, diedero i seguenti
risultati per i territori costituenti il
Territorio Libero:
|
Italiani
|
Sloveni-Croati
|
Tedeschi e
Altri
|
Totale
|
Zona A
|
211.660
|
32.427
|
18.319
|
262.406
|
Zona B
|
54.651
|
16.287
|
212
|
71.150
|
Territorio
Libero
|
266.311
|
48.714
|
18.531
|
333.556
|
Dopo l'occupazione militare jugoslava
40.000 italiani ( tutta la popolazione
urbana e la maggior parte della rurale)
sono fuggiti dalla zona B.
I distretti di Capodistria e Buie
formano la zona B, con 520 kmq. e
70.000 abitanti, ( 51.000 italiani e
19.000 slavi ) dove continua
l'amministrazione militare degli jugoslavi
, che anzi, senza subire più alcuna
interferenza continueranno con più
decisione l'opresssione degli italiani,
che partiti in schiacciante maggioranza
diminuiscono ogni giorno e sempre meno
possono fare di fronte alle efferate forze
militari e di polizia jugoslave.
I centri della costa fino
al 1947 erano totalmente italiani ( al 97
%) , quelli dell'interno erano comunque
abitati in larga maggioranza da contadini
italiani.
A Pirano , che oggi viene
chiamata la perla della Slovenia, al
censimento del 1910 svolto dall'Austria
Ungheria si registrarono oltre a
8.000 italiani, 62 tedeschi e 2 (due)
croati e NESSUN sloveno.
Il controllo
internazionale dell'ONU ebbe efficacia
solo a Trieste, sottoposta al
controllo amministrativo e politico
alleato, ma scarso o nullo fu il suo peso
nella “zona B” sparita dietro la
cortina di ferro jugoslava. Gli italiani
della zona B vennero uccisi ( alcune
migliaia) o costretti a fuggire (40.000,
che si aggiunsero ai 300.000 italiani già
fuggiti dal resto dell'Istria divenuta
jugoslava fin dal 1945).
Ciononostante la
propaganda slava ha sempre continuato a
diffondere dappertutto dati palesemente
riconosciuti falsi dalla commissione
internazionale dell'ONU e tuttora in
Slovenia nelle scuole non si fa menzione
del fatto che un tempo la zona era abitata
da italiani e si insegna ai piccoli
allievi che essa è stata da sempre
esclusivamente terra degli sloveni.
Sin da subitoil
governo Jugoslavo non rispetta gli accordi
sottoscritti con il Trattato di Pace del
1947 che prevede, tra l'altro, anche l'uso
ufficiale della lingua italiana, la libertà
di pensiero
e di comunicazione, di transito delle
merci e la facilitazione per i passaggi di
frontiera: la sovranità politica
jugoslava cancella i diritti umani
fondamentali dei cittadini della zona B
tanto da indurre inglesi e americani ad
abbandonare il progetto del T.L.T.
D’altra parte, la rapida
conversione dell’economia locale verso i
canoni dell’economia collettivistica (una
legge che rendeva legittimo l’esproprio
dei fondi agricoli senza corrispettivo per
il proprietario era già immediatamente
stata varata nell’agosto 1945) fece ben
presto comprendere come la situazione per
Belgrado fosse tutt’altro che
transitoria, in attesa di una definizione
diplomatica, ma che si voleva rapidamente
porre le autorità internazionali di
fronte ad un fatto compiuto.
Ciò che comunque determinò
la fine delle illusioni fu la pesante
politica di nazionalizzazione forzata a
danno dell’elemento italiano, attraverso
persecuzioni, allontanamenti coatti,
eliminazioni, deportazioni, internamenti
in campi di concentramento. E che tali
strumenti non fossero soltanto la macabra
risposta alla politica di
nazionalizzazione del fascismo, ma
piuttosto il tentativo di cancellare dal
territorio una presenza italiana che nelle
città e in molte zone anche interne era
maggioritaria, fu chiaro fin dall’inizio
anche a quei partigiani che, in nome
dell’antifascismo, avevano in un primo
tempo appoggiato il comunismo titino.
Molti italiani di tutti i
ceti sociali, resistettero quasi un
decennio nella loro terra sperando nella
provvisorietà dell'amministrazione slava
e in un futuro ritorno all'Italia o
perlomeno nella reale costituzione
del governo del Territorio Libero.
L'opera di
jugoslavizzazione si concentrò sulle città
della costa e ironicamente oggi i
pochi paesi in cui ancora vive una
proporzione consistente di italiani sono
quelli delle campagne interne ( Momiano,
Verteneglio).
>>
Trieste Zona B 1945/46/47
|
|
Il
Territorio Libero
di Trieste
Il
TLT confina a
nordovest con la
Repubblica
Italiana, a est
con la Repubblica
Popolare di
Jugoslavia, e ad
ovest con il mare
Adriatico.
Fiumi:
Timavo, Rosandra,
Risano, Quieto
Massima
elevazione: Monte
Castellaro 742
m.s.l.m.
Clima:
marittimo
mediterraneo sulla
costa, temperato
continentale
all'interno.
Limite
Nord: Dosso Giulio
45.5 N
Limite
Sud: Porto Quieto
45.2 N
Limite
Ovest: Punta
Salvore 13.0 E
Limite
Est: Grozzana di
Pese 13.2 E
Data
Costituzione
10.2.1947
Superficie:
741 Kmq.
Comuni:
Duino, Aurisina,
Monrupino, Sgonico,
Trieste, Muggia,
San Dorligo,
Capodistria,
Maresego, Monte di
Capodistria, Villa
Decani, Isola,
Pirano, Buie,
Cittanova, Umago,
Verteneglio,
Grisignana.
Popolazione:
330.000 ab.
----
278.000
Italiani, 35.000
sloveni, 13.000
croati, 4.000
tedeschi, altre
etnie.
Densità
: 444 ab/kmq.
Distribuzione
etnica
Fonte: Karty
etniceskoj
struktury Juliskoy
krajny 1946:
Italiani
84%
Slavi
15%
Altri
1%
278.000
Italiani, 35.000
sloveni, 13.000
croati, 4.000
tedeschi ed altre
etnie.
Si
parla italiano (un
dialetto di tipo
veneto) nella
capitale Trieste,
nei centri
lungo la costa dal
Timavo al Quieto,
e nei loro
dintorni (Duino,Grignano,Trieste,
Muggia,
Capodistria, Isola,
Pirano, Portorose,
Sta.Lucia, Salvore,
Umago, Daila,
Cittanova),
nei
maggiori
centri
dell'interno (Grisignano,
Momiano,
Castelvenere, Buie,
Verteneglio)
nonché nelle
campagne del
Muggesano,
Capodistriano,
Piranese e Isolano
e in quelle
del Buiese
ed Umaghese.
I
35.000 Sloveni
abitano l'
altipiano del
Carso da San
Giovanni di Duino
(Stivan) a nord, a
Monte di
Capodistria (Smarje)
a sud, nonché,
misti agli
italiani, le
campagne e alcuni
dei sobborghi
retrostanti
Trieste (Barcola,
San Giovanni e
Servola) nonchè
la zona sopra
Muggia (Crevatini,
Albaro Vescovà) e
intorno
Capodistria (S.Antonio,
Villa Decani).
Tutti
parlano
correntemente
anche l'italiano.
In
zona A ricadono
28.000 sloveni, in
zona B solo
7.000.
I
13.000 Croati
abitano, misti
agli italiani,
le campagne della
zona meridionale
del Territorio, e
costituiscono
la
maggioranza
nelle campagne
più distanti
dalla costa (intorno
a Toppolo in
Belvedere/Topolovec).
Tutti parlano
correntemente
anche l'italiano.
Risiedono tutti in
zona B.
I
4.000 abitanti
tedeschi e di
altre etnie sono
principalmente
concentrati a
Trieste( zona A).
Tutti parlano
correntemente
anche l'italiano.
Dei
18 singoli
municipi, 7
piccoli comuni
sono, nel 1947, a
maggioranza
slovena: in zona A
Nabrezina (Aurisina),
Zgonik (Sgonico),
Repentabor (Monrupino),
Dolina (
Sant'Ulderico)
e in zona B
Marezega (
Maresego), Dekani
(VIlla Decani) e
Smarje (Monte di
Capodistria)
Gli
altri 11
comuni , sono a
maggioranza
italiana: 3 in
zona A ( Duino,
Muggia, Trieste )
ed 8 in zona
B ( Capodistria,
Isola, Pirano,
Umago, Cittanova,
Buie, Verteneglio,
Grisignana ).
Nella
parte
settentrionale del
TLT, e in genere
in tutti i centri
urbani, tra
Italiani e slavi
la distinzione
nazionale è netta.
La coscienza
nazionale è
chiaramente
delineata, i
fattori
linguistici,
culturali e
sentimentali, di
regola, non si
prestano ad
equivoci.
Scendendo
nelle campagne a
mezzogiorno della
Dragogna, quando
si entra in quella
parte della
campagna istriana
che è divisa fra
Italiani e Croati,
le questioni
nazionali
cominciano a
perdere parte
della loro
nettezza : una
massa non
indifferente nelle
zone rurali, che
statisticamente
considereremo
croata, è
formata da
elementi incerti
bilingui,
parlanti un
dialetto ibrido
italo-slavo (schiavetto)
misto tra
veneto,
sloveno e croato.
A
questo proposito
bisogna tener
presente che le
lingue slave della
regione non hanno
una diffusione
extra-nazionale e
non offrono ancora
risorse culturali
tali da invogliare
gli elementi
italiani ad
apprenderle. Di
regola gli
Italiani ignorano
la lingua dei loro
vicini, mentre gli
Slavi della
regione sono
bilingui da secoli.
Composizione
etnica dei
principali centri
urbani ( esclusi
sobborghi e
circondari)
secondo l'I.R.
Censimento per
lingua d'uso.
Trieste:
91,2% It. - 4,7%
Ted. - 3,8% Sl.
Muggia
: 97,9% It. -1,9%
Sl. - 0,2% Ted.
Capodistria
: 89,7% It.
- 4,8% Ted. - 1,9%
Sl.
Isola
: 99,4 % It. -
0,6% Sl.
Salvore
80% It. 20% Cr.
Pirano
: 99,8 % It. -
0,2% Ted. -
Castelvenere:
65,3% It. 34,7 %
Cr.
Bandiera
: Corsaresca (Alabarda)
bianca in campo
rosso
Sigla
automobilistica
internazionale :
TLT
Ferrovie
AAFTLT
AZIENDA AUTONOMA
DELLE FERROVIE DEL
TLT ( il 19
settembre 1947 è
avvenuto il
passaggio gestione
da FS italiane
alla AAFTLT
)
LINEE: Italia-
Confine- Duino-Trieste
C.le.
Villa
Opicina-Aurisina-Barcola-Trieste
C.le.
Jugoslavia-Confine-Op.
Campagna-Guardiella-Trieste
St.Andrea.
Trieste
St.Andrea-Servola-Aquilinia.
Trieste
St.Andrea-Sant'Anna-St.Elia-Pirano-Santa
Lucia di
Portorose-Buie (in
esercizio fino
St.Elia).
POSTE:
nella zona A
l'Amministrazione
postale utilizza
francobolli
italiani
sovrastampati con
la dicitura AMG
FTT, nella zona B
l'Amministrazione
jugoslava utilizza
propri francobolli
trilingui.
IL
MONOPOLIO DI STATO
DEL TERRITORIO
LIBERO DI TRIESTE
si occupa della
distribuzione del
tabacco e
sigarette, a
prezzi del 18 %
inferiori a quelli
italiani.
La
pressione fiscale
è del 20 %
inferiore a quella
in Italia alla
stessa epoca.
RADIO
: vengono
trasmessi un
programma in
italiano (Radio
Trieste) e uno
sloveno
(Radio Trst A).
Per la zona B
trasmette un
programma in
italiano
Forze
militari.
Nelle
due zone, come
previsto dallo
Statuto, non vige
l'obbligo di
servizio militare.
(In zona B però
gli jugoslavi
hanno introdotto
il lavoro
obbligatorio
paramilitarizzato)
La
Polizia civile
VGPF conta 4337
effettivi militari
e 5301 impiegati
La
Guardia di Finanza
del TLT conta 1044
effettivi militari
e 1206 impiegati
La
Polizia
amministrativa
conta 315
effettivi
Sono
presenti nella
zona A 5000
militari USA e
5000 britannici.
Nella
zona B sono
presenti 5000
militari jugoslavi.
ELEZIONI
|
1948
|
1952
|
D.Cristiana
|
25
|
28
|
P.Com.
TLT
|
13
|
6
|
P.Soc.Ven.Giulia
|
4
|
5
|
M.Sociale
|
4
|
4
|
P.Socialista
|
*
|
1
|
P.Repubblicano
|
3
|
4
|
P.Liberale
|
1
|
3
|
Monarchici
|
3
|
1
|
Liste
Slovene
|
1
|
1
|
Comunisti
titini
|
1
|
1
|
F.te
Indipendenza
|
4
|
5
|
Blocco
Tr./Unione.Tr.
|
1
|
1
|
Territorio
Libero
di
Trieste
-
Presidenza
di Zona,
Ufficio
Elettorale
|
|
|
|
|
LA FUGA
DALL'ISTRIA OCCUPATA DAGLI JUGOSLAVI
Tra la fine
del 1943 e quella del 1956 la quasi
totalità degli italiani
che vivevano nei territori passati,
a vario titolo giuridico, sotto il
definitivo controllo della
Jugoslavia, abbandonarono la loro
terra di origine. Sul loro numero le
stime variano di molto (quelle più
attendibili oscillano fra le 250 e
le 300 mila unità), ma non vi è
dubbio che a prendere la via
dell’esilio fu un’intera comunità
nazionale, al completo delle sue
articolazioni sociali - da ciò il
termine di “esodo”, riferito ad
un intero popolo in fuga - che si
disperse poi nel mondo: solo parte
degli esuli trovò infatti ospitalità
in Italia, mentre gli altri furono
costretti ad emigrare nelle Americhe
o in Oceania. Lasciarono una terra
sconvolta: i borghi, soprattutto
quelli costieri, ridotti a città
fantasma, gravemente spopolate anche
le campagne, abbandonate le colture
tipiche del paesaggio agrario
mediterraneo, completamente
disarticolata la società locale,
con la scomparsa di interi ceti
sociali (possidenti, ma anche
artigiani e pescatori), spezzati i
legami fra aree tradizionalmente
legate da una fitta rete di legami,
come Trieste ed il capodistriano.
L’esodo degli italiani
segnò nella storia dell’Istria
una frattura radicale e senza
precedenti. Già nel passato la
penisola aveva vissuto gravi crisi
demografiche, a seguito di guerre e
pestilenze, ed agli albori dell’età
moderna Venezia era stata costretta
più volte a ripopolarla con
popolazioni slave in fuga davanti ai
turchi, ma si trattava di eventi
accaduti prima della formazione
delle coscienze nazionali e la
continuità storica non ne era stata
intaccata. Dopo la prima guerra
mondiale, il passaggio dell’Istria
dall’Impero austro-ungarico al
Regno d’Italia e, soprattutto, la
politica del fascismo, avevano
suscitato un flusso migratorio di
elementi sloveni e croati, che però
aveva inciso solo marginalmente
sugli equilibri etnici della regione.
Nel secondo dopoguerra invece la
scomparsa di un’intera comunità
nazionale - fra l’altro, quella
che aveva costantemente esercitato
l’egemonia economica, sociale e
culturale nella penisola - cambiò
completamente il volto dell’Istria.
Il forzato abbandono da parte degli italiani
dei territori istriani, di Fiume
e di Zara costituisce peraltro anche
un aspetto particolare ed
emblematico di un fenomeno più
generale, che travolse nel Vecchio
Continente milioni di individui:
quel processo di “semplificazione
etnica”, legato all’affermarsi
degli Stati nazionali in territori
nazionalmente misti, che distrusse
in larga misura le realtà
pluringuistiche e multiculturali
esistenti in buona parte
dell’Europa centrale. Il fatto che
l’espulsione degli italiani
avvenne per opera di uno Stato
federale e fondato teoricamente su
di un’ideologia internazionalista
- com’era la Jugoslavia comunista
- segnala come la forza delle
pulsioni nazionaliste riuscisse in
molti casi ad imporsi rispetto ai
contenuti ideologici di segno
opposto.
Nel suo complesso, l’esodo durò a
lungo, più di dieci anni, perché
fu il frutto di spinte fra loro
assai simili ma impresse con ritmi
diversi, in relazione al momento in
cui le comunità italiane maturarono
la certezza della loro irrimediabile
inclusione nella Jugoslavia. Si
ebbero così diversi esodi, che si
innestarono l’uno sull’altro.
Dopo l’abbandono di Zara, avvenuto
già nel 1944 a seguito dei
bombardamenti anglo-americani che
distrussero la città dalmata (secondo
alcune ipotesi, peraltro non
confermate, ciò sarebbe avvenuto su
richiesta jugoslava), nel dopoguerra
la prima a svuotarsi fu Fiume,
stabilmente occupata dagli jugoslavi
fin dalla primavera del 1945. Qui le
nuove autorità, espressione del
partito comunista croato, avviarono
subito nei confronti degli italiani
una politica assai dura, fatta di
espropri - miranti a distruggere in
particolare le posizioni economiche
della piccola e media borghesia
fiumana, nerbo dell’italianità
urbana - arresti e uccisioni,
diretti ad eliminare qualsiasi
embrione di dissenso politico. Il
radicalismo di tali comportamenti
era certo in parte dovuto alla
costruzione per via rivoluzionaria
di un sistema socialista e di un
regime stalinista, ma il prevalere
delle componenti nazionaliste croate
compromise assai presto anche il
consenso che i “poteri popolari”
avevano inizialmente ottenuto presso
la classe operaia di lingua italiana
e di orientamento comunista. Le
partenze di massa si avviarono perciò
fin dal 1946, per coinvolgere
l’intera popolazione dopo che il
Trattato di Pace ebbe sancito il
passaggio della città alla
Jugoslavia.
Simile a quella di Fiume
fu l’evoluzione politica a Pola,
occupata peraltro fino al 1947 dalle
truppe anglo-americane. Anche qui,
le iniziali divisioni esistenti
nella comunità italiana fra gli
avversari della soluzione jugoslava
- la maggioranza della popolazione -
ed i sostenitori dell’annessione
al nuovo stato socialista - gran
parte del proletariato italiano - si
ricomposero rapidamente di fronte
alla constatazione che all’interno
del partito comunista croato i
contenuti di classe venivano
decisamente subordinati rispetto a
quelli nazionali, all’insegna di
un’assoluta intolleranza. Così,
quando il Trattato di Pace impose la
cessione alla Jugoslavia anche del
capoluogo istriano, gli abitanti
decisero di abbandonare in blocco la
città, e vennero evacuati via mare
nel giro di pochi mesi.
Eguale fu il comportamento degli italiani
residenti negli altri territori
dell’Istria orientale e
meridionale (fra cui le cittadine di
Parenzo, Rovigno e Albona) la cui
sovranità venne trasferita alla
Jugoslavia nel 1947, sempre in forza
delle clausole della pace, che
prevedevano anche il diritto per gli
istriani di optare per la
cittadinanza italiana e di
abbandonare di conseguenza i
territori divenuti jugoslavi. Il
loro esodo però risultò più
diluito nel tempo rispetto
all’incalzare drammatico delle
vicende polesane, a causa degli
ostacoli frapposti alla loro
partenza da parte delle autorità
jugoslave, che scosse dalla
risonanza internazionale degli
eventi di Pola dove tutto il mondo
aveva saputo che tutta la
popolazione aveva voluto fuggire
dalla Jugoslavia socialista. . Il
tentativo di frenare la partenza
degli italiani
era però intimamente
contraddittorio: i provvedimenti
messi in atto per rallentare
l’esodo - rifiuto di accogliere le
domande di opzione, limitazioni al
trasferimento dei beni, minacce,
richiami alle armi, e così via
finirono infatti per sortire
l’effetto opposto, perché vennero
correntemente interpretati quali
controprove della volontà
persecutoria del regime nei
confronti della popolazione italiana.
Si trattava infatti di misure che
miravano non già a rimuovere le
cause dell'esodo, ma semplicemente
ad impedirne coattivamente
l'effettuazione: in questo modo però
non modificavano in alcun modo la
realtà dell'oppressione patita
dagli italiani,
anzi, la ribadivano con maggior
vigore e, così facendo,
rafforzavano la determinazione ad
esodare. Si trattava di un limite
connaturato alla struttura stessa
del regime, che nei confronti dei
dissenzienti - in questo caso degli italiani
- sapeva usare soltanto l'arma della
repressione, che allargava
irrimediabilmente la forbice tra
cittadini e autorità.
Più a lungo degli altri
resistettero sulla propria terra gli
abitanti della cosiddetta “zona
B” del mai costituito Territorio
Libero di Trieste, vale a dire della
fascia costiera nord-occidentale
dell’Istria (con le cittadine di
Capodistria, Isola, Pirano, Buie,
Umago e Cittanova) che avrebbe
dovuto concorrere, assieme a
Trieste, alla costituzione di uno
stato-cuscinetto fra Italia e
Jugoslavia, ma che rimase di fatto
controllata dalle autorità
jugoslave. Durante tutta la seconda
metà degli anni Quaranta la durezza
della politica jugoslava produsse
anche qui un flusso continuo di
partenze e di fughe, anche con esito
tragico, ma nel complesso la
maggioranza della popolazione non si
mosse, sperando che i negoziati
avviatisi fra i due Paesi confinanti
consentissero la restituzione di
parte almeno della zona all’Italia.
Quando però, alla fine del 1953, fu
chiaro che il dominio jugoslavo era
divenuto irreversibile, scattò la
decisione collettiva di partire, che
si consolidò dopo che il Memorandum
d’Intesa del 1954 ebbe di fatto
sancito l’assetto del confine,
anche perché le clausole
dell’accordo che prevedevano
misure di tutela delle comunità
italiane, non modificarono nella
realtà i comportamenti repressivi
delle autorità jugoslave. Così,
nel giro di poco più di un anno -
secondo i termini previsti dal
Memorandum per optare per la
cittadinanza italiana - le cittadine
italiane si svuotarono completamente
e partirono pure i contadini
istriani, che fino all’ultimo non
si erano rassegnati ad abbandonare
la loro terra.
L’animosità accumulata da sloveni
e croati per la dura oppressione
fascista spiega in parte
l’asprezza dei comportamenti
tenuti nei primi tempi
dell’occupazione jugoslava
dell’Istria, ma il perpetuarsi
degli atteggiamenti persecutori nei
confronti degli italiani
da parte degli attivisti e delle
autorità locali, rimanda piuttosto
all’intento di farla finita una
volta per tutte con un gruppo
nazionale percepito come “nemico
storico” del nazionalismo sloveno
e croato. E’ invece ancora oggetto
di discussione se anche da parte del
governo di Belgrado esistesse fin
dalle origini un preciso disegno di
espulsione degli italiani
dall’Istria, come suggeriscono
alcune testimonianze di parte
jugoslava - fra le quali quella di
Milovan Gilas - ovvero se, come
indicherebbero altri riscontri, nei
primi anni del dopoguerra si
puntasse piuttosto ad integrare
nello Stato jugoslavo un gruppo
nazionale italiano privato del suo
potere economico e drasticamente
“epurato” sotto il profilo
politico e sociale, in modo da
renderlo del tutto conformista
rispetto agli orientamenti nazionali
ed ideologici del regime. In ogni
caso, tale seconda linea, chiamata
della “fratellanza italo-jugoslava”
venne abbandonata dopo il 1948,
quando la crisi nei rapporti fra la
Jugoslavia e l’Unione Sovietica
obbligò i comunisti istriani di
lingua italiana che fino a quel
momento avevano appoggiato, anche se
con crescenti riserve, l’azione
dei “poteri popolari”, a
scegliere fra Stalin e Tito.
Conformemente alle tradizioni
internazionaliste del proletariato
giuliano, la scelta fu compattamente
per l’Unione Sovietica: di
conseguenza, molti comunisti italiani,
fra quelli residenti in Istria e
quelli immigrati nel dopoguerra per
“edificare il socialismo” - come
alcune migliaia di operai
monfalconesi trasferitisi a Fiume
in una sorta di “controesodo” -
subirono il carcere e la
deportazione nell’inferno
dell’Isola Calva (il lager
deputato alla “rieducazione” dei
cominformisti). In tal modo, ogni
residua possibilità che nuclei
significativi di italiani
accettassero la logica del regime
venne a cadere, ed a partire dalla
fine degli anni Quaranta ciò che
ancora rimaneva delle comunità
italiane in Istria venne considerato
da parte jugoslava come mero
ostaggio da utilizzare nelle
trattative per la sorte della zona
B. Così, le ondate di violenze ed
espulsioni che vennero scatenate
soprattutto in occasione delle
elezioni amministrative del 1950 e
della grave crisi diplomatica con
l’Italia seguita alla Nota
Bipartita dell’8 ottobre 1953, si
accompagnarono al tentativo di
modificare definitivamente
l’assetto etnico del territorio
mediante l’immigrazione massiccia
di elementi provenienti
dall’interno della Jugoslavia.
Sul piano soggettivo, a spingere gli
istriani ad abbandonare le loro case
ed ogni avere per prendere
l’incerta via dell’esilio,
concorsero diverse motivazioni, che
frequentemente si cumularono fra
loro. Giuocò un ruolo centrale la
paura, legata ai ricordi delle
stragi delle foibe e rafforzata dal
continuo stillicidio di
prevaricazioni, minacce, violenze e
sparizioni che punteggiò il
dopoguerra istriano e che
rappresentava l’aspetto più
evidente dell’oppressione
esercitata da un regime la cui
natura totalitaria impediva anche -
al di là dei riconoscimenti formali
presenti a livello costituzionale e
legislativo - ogni libera
espressione dell’identità
nazionale. Pesò il sovvertimento
delle tradizionali gerarchie, ad un
tempo nazionali e sociali, che
avevano visto il gruppo italiano
storicamente egemone in Istria, ed
il ribaltamento dei rapporti di
potere fra città e campagna che
fino a quel momento, com’è usuale
in Italia, avevano visto la
dipendenza economica, politica e
culturale delle aree agricole dai
centri urbani.
Gravi conseguenze ebbe la
progressiva eliminazione dei punti
di riferimento culturali del gruppo
nazionale italiano: soprattutto dopo
il 1948 il sistema scolastico in
lingua italiana venne
progressivamente ridimensionato,
l’insegnamento orientato alla
denigrazione dell’Italia ed i
docenti italiani
sottoposti a provvedimenti
restrittivi e costretti spesso alla
fuga. Quanto alla situazione della
Chiesa, dopo una breve fase in cui
il regime cercò di utilizzare ai
propri fini il sentimento nazionale
dei sacerdoti sloveni e croati, la
persecuzione religiosa si abbatté
con durezza su tutto il clero: non
mancarono i martiri - italiani
e slavi
- e lo stesso vescovo di Trieste,
caduto vittima di un’aggressione,
salvò a stento la vita. Tali
provvedimenti peraltro assunsero
un’oggettiva valenza
snazionalizzatrice nei confronti
delle comunità italiane, che
trovavano nei sacerdoti l’unico
riferimento autorevole e credibile
rimasto a loro a disposizione.
Nel contempo, anche le condizioni di
vita degli italiani
peggiorarono sensibilmente. Alla
difficile situazione della
Jugoslavia post-bellica si sommarono
infatti le conseguenze negative
delle riforme introdotte soprattutto
nel settore agricolo ed in quello
della pesca - vitali per
l’economia istriana del tempo - e
dei provvedimenti specificamente
diretti a distruggere il passato
predominio economico degli italiani
in Istria ed a troncare i rapporti
con l’Italia e con Trieste, dai
quali ad esempio dipendeva buona
parte dell’economia della zona B.
Infine, la negazione dei valori
tradizionali e l’imposizione di
nuovi criteri di misura del lavoro e
del prestigio sociale, il
sovvertimento di abitudini
consolidate da generazioni e
l’introduzione di nuove regole di
comportamento - nei rapporti sociali
come nella gestione della terra - la
necessità di servirsi di una nuova
lingua, pressoché sconosciuta, e di
inserirsi in una cultura fino ad
allora nemmeno presa in
considerazione come tale,
suscitarono negli istriani una
crescente sensazione di estraneità
rispetto ad una realtà che stava
cambiando velocemente e nella quale
non vi era visibilmente posto per
gli italiani.
Attraverso diverse vie e con ritmi
diversi, le comunità italiane
dell’Istria finirono quindi per
arrivare tutte alla medesima
conclusione, vale a dire
l’impossibilità di mantenere la
propria identità nazionale, intesa
come complesso di modi di vivere e
di sentire, ben oltre la sola
dimensione politico-ideologica,
nelle condizioni offerte dallo Stato
jugoslavo.
|
1946: i
comunisti cercano di bloccare con la
violenza la carovana del Giro
diretta a Trieste: un gruppo di 15
corridori forza il blocco. Tra due
ali di folla e lo sventolio del
tricolore il triestino Cottur
conduce il giro d'onore sino
all'arrivo.
…Di tutto questo dà
insospettabile prova lo scrittore
Giovanni Padoan, il partigiano Vanni
di fede comunista, nella più volte
citata opera "Un'epopea
partigiana alla frontiera tra due
mondi". Egli ci offre
sull'episodio dei Giro d'Italia una
testimonianza che vale la pena di
riportare.
"Il 30 giugno al momento
dell'arrivo dei giro ciclistico
d'Italia al ponte di Pieris, su
consiglio dei dirigente sloveno
Franc Stoka, i comunisti di quella
sezione bloccarono il giro che si
doveva portare a Trieste. Franc
Stoka, allora uno dei massimi
dirigenti dei Pcrg a Trieste, si recò
a Monfalcone a chiedere ai comunisti
di quella sezione che impedissero il
passaggio dei Giro d'Italia. Questi
comprendendo l'enormità della
richiesta, si rifiutarono
recisamente di attuare una azione
cosi dissennata. Non rinunciando al
suo progetto, lo Stoka si recò a
Pieris e qui, purtroppo, i comunisti
locali aderirono all'invito che
venne messo in atto e che, come è
noto provocò stupore e reazione
anche in ambienti non nazionalisti
che, in un clima già arroventato e
scosso dai conflitti sociali e
scontri di piazza quasi quotidiani
(non si dimentichi che siamo nel
giugno?luglio 1946), sfociò nelle
violenze squadriste a Trieste e in
uno sciopero ben noto di carattere
antislavo e anticomunista e questa
volta con il consenso di molta gente
che prima era rimasta neutrale".
In definitiva, il primo Giro
d'Italia dei dopoguerra, terminò a
Pieris. I corridori non vollero più
procedere, perché mancavano le
condizioni di sicurezza. Lo sport più
popolare d'Italia, che sapeva
infiammare gli italiani e metterli
al di sopra delle parti, era stato
tradito dall'atto insano degli
slavotitini. Le cronache del tempo
ci riferiscono che lo stesso Bartali,
sollecitato ad intervenire presso
gli altri corridori perché si
proseguisse alla volta di Trieste,
si uniformò alla volontà dei più.
Fu così che il grosso della
carovana si mosse alla volta di
Udine. Solo una quindicina di
corridori decise di non arrendersi e
di proseguire sino al traguardo di
Montebello. Tra questi vi era anche
il nostro Cottur. I quindici "girini"
furono fatti salire su alcune
automobili della carovana e
dirottati lungo una strada diversa
da quella prevista. Ma anche questa
era stata cosparsa di chiodi
dall'odio sciocco e brutale dei
malintenzionati, sicchè la carovana
dovette procedere con molta lentezza.
Essa potè proseguire grazie ai
molti sportivi locali che fecero il
possibile per rimuovere chiodi, filo
spinato, vetri ed altri ostacoli. Al
bivio di Miramare questi corridori
rimontarono in sella e i numerosi
bagnanti lungo la scogliera li
accolsero facendo siepe attorno a
loro, applaudendoli vivacemente. A
Barcola già sventolavano le prime
bandiere tricolori. Il centro
cittadino, dopo aver appreso la
notizia dell'inaudito gesto, aveva
reagito riversandosi per le vie e
imbandierando le finestre. Circa
alle 15 iniziarono a sopraggiungere
le prime macchine al seguito della
sparuta pattuglia dei superstiti.
Nonostante l'ora meridiana e la
calura estiva, ali di folla si
strinsero intorno a loro. Ovunque la
folla inneggiava l'Italia.
Giunti all'ippodromo, i corridori
vollero che fosse proprio il
triestino Cottur, davanti a migliaia
di spettatori, a compiere il giro
d'onore. Il risultato sportivo non
contava più nulla, ma ancora una
volta fu importante l'attaccamento
dei triestini all'Italia. Tutti i
giornali nazionali, all'epoca dei
fatti, riportando la notizia
rilevarono che la misura era colma.
Il significato politico e morale, di
quel avvenimento può essere
riassunto nella dichiarazione
semplice e spontanea rilasciata dal
corridore torinese Giacometti, del
Fronte della Gioventù (all'epoca
dei fatti questa era la
denominazione dell'organizzazione
giovanile dei Partito comunista
italiano). Questi, mostrando ai
giornalisti un pezzetto di ferro a
più punte, da reticolato, uno dei
tanti cosparsi lungo la strada ,
disse: "Lo porto a casa per far
vedere agli amici di che sono capaci
gli slavocomunisti".
A titolo di
cronaca per il giro d' Italia del
2004 gli attivisti sloveni del Carso
hanno imbandierato le strade con le
bandiere slovene, e scritto
sul'asfalto Trst je Nas e scritte
antitaliane.
|
|
|
FREE TERRITORY OF TRIESTE
TERRITORIO
LIBERO DI TRIESTE
|
|
The flag of the
Free Territory of Trieste
was flying 1945/1954 in the
A zone ruled by the
American-British forces and
especially above the castle
of Duino, which was
the residence of the
Military Cdt of the said
zone, the General Officer
Commanding BETFOR (British
Element Trieste
Force). The flag was
lowered on the 5th of
October 1954 when the
Italians regained this part
of the territory.
The
unique exemplar of the flag
flying above the castle of
Duino is kept now in the
collections of the Imperial
War Museum in London.
The AMG in
Zone A was protected by two
separate contingents of
Allied servicemen, 5,000
Americans in TRUST (TRieste
United States Troops) and
5,000 British in BETFOR
(British Element Trieste
FORce), each comprising
crack infantry battalions
complete with separate
American and British command
support units (Signals,
Engineers, Military Police,
etc) .Free Territory of
Trieste (FTT), established,
September 15, 1947, by
Proclamation No. 1 of the
Commander, British-United
States Forces, in his
capacity as Military
Governor, BUSZ, in
accordance with Section III
of the Treaty of Peace with
Italy, effective same day,
which established FTT under
United Nations (UN) auspices
and provided for its
provisional administration
until such time as a
governor, appointed by the
UN Security Council,
organized a permanent
administration. FTT,
consisting of the City and
Port of Trieste and
surrounding territory, was
divided into Zone A (which
included the City and Port),
administered by AMG, BUSZ;
and Zone B, administered by
organizations of the
Yugoslav Government. The
provisional administration
was continued, 1947-54,
because of the UN Security
Council's inability to agree
upon the selection of a
governor. By a Memorandum of
Understanding between the
Governments of Italy, the
United Kingdom, the United
States, and Yugoslavia,
signed October 5, 1954, and
subsequently accepted by the
UN Security Council, the
signatories agreed to an end
of FTT provisional
government and to the
transfer, with a slight
border adjustment, of Zone A
territory to Italy and Zone
B territory to Yugoslavia.
By same memorandum, Italy
agreed to maintain Trieste
as a free port in accordance
with terms of the Treaty of
Peace with Italy. AMG, BUSZ
abolished, October 26, 1954,
with territory under its
jurisdiction transferred to
Italian Government.
|
On the 5th
March 1946, Winston
Churchill, in an address to
Westminster College, Fulton,
Missouri, made his famous
"Sinews of War"
speech including the
following words:- "From
Stettin in the Baltic to
Trieste in the Adriatic an
Iron Curtain has come down
over Europe".
He went on to
say, "....... the
future of Italy hangs in the
balance".
The
Peace Treaty
signed in Paris by
the Italian
government on 10
February 1947
officially
sanctioned the new
borderline and a
division of the
two zones within
the Free Territory
of Trieste, a new
political-administrative
unit which
extended from
Duino to Cittanova
in Istria and
which encompassed
330 000
inhabitants in 741
km2.
Under
the terms of the
1947 Peace
Treaty with
Italy, a
Governor for the
Free Territory
of Trieste was
to be selected
and appointed by
the United
Nations Security
Council. Until
such appointment
was made, the
United States,
Great Britain,
and Yugoslavia
were to
administer and
protect that
Territory.
Quarterly
reports were
submitted by the
Anglo-American
Allied Military
Government to the
United Nations,
detailing the
recovery and
evolution of that
part of the
Territory in their
"Zone
A".
Provisions were
made in the Treaty
for the three
nations to provide
a garrison of
5,000 troops each
in
support of the
emerging
government, to be
withdrawn at a
point after the
Governor had taken
control of
the Territory.
Relations between
the American and
British
governments on the
one hand, and the
Yugoslav
government and
communist bloc on
the other hand,
were such that the
area of the
Territory was
divided
into two zones.
Zone A,
administered by
Allied Forces
Trieste - the
American and
British
contingents -
was primarily the
metropolitan area,
while Zone B,
administered by
the Yugoslavs, was
primarily the
hinterland.
The
Governor was never
appointed.
Although several
well-qualified
candidates had
been proposed,
the East and West
Blocs could not
come to agreement
on political and
strategic issues.
"Waiting
for a
Governor" ,
the FTT kept also
divided into two
zones.
The
truth was that
nobody knew how to
sweep off Tito's
Army from the B
zone.
Zone
A, was 222 km2
and had
262.000 inh.
(232.000 Italians,
25.000 Slavics,
4.000 Germans)
Was
comprising the
northern part,
administered by
the Allied
Military
Government (AMG)
including the
cities of
Trieste
(211.000 Italians
and 11.000
Slovenes) and
Muggia (13.000
Italians and 500
Slovenes), and
the rural
villages on the
highlands (22.500
Slovenes and 2.000
Italians).
Zone
B, was 529 km2 and
68.000 inh.
(54.000 Italians,
14.000 Slavics)
Yet
occupied by the
Yugoslavian Army
since May
1945.
This
zone continued to
be administered by
Yugoslavian
Military
Government (STT-VUJA)
and was comprising
the southern part
of FTT,
including
urban
(overwhelming
Italian) areas (
Capodistria, Isola,
Pirano, Buie,
Cittanova, Umago
and others, with
43.000 Italians
and 1.900
Slovenes) and the
rural areas in the
north-west of the
Istrian Peninsular
( 12.000 Slovenes
or Croats, and
9.000 Italians).
The
G.M.A in the A
Zone
The
AMG in Zone A was
protected by two
separate
contingents of
Allied servicemen,
5,000 Americans in
TRUST (TRieste
United States
Troops) and 5,000
British in BETFOR
(British Element
Trieste FORce),
each comprising
crack infantry
battalions
complete with
separate American
and British
command support
units (Signals,
Engineers,
Military Police,
etc)
In
1954, the FTT was
disbanded, Zone A
being handed over
to Italy and Zone
B was incorporated
into
Yugoslavia.
The
STT-Vuja in the B
Zone
The
political life of
the years of the
Allied Military
Government was
lived out
according to the
book in the A
Zone, whereas the
B Zone immediately
suffered the
Yugoslavian action
of violent
coercion against
the Italian
communities (80%
of population of
the zone)
.Italians
were the
overwhelming
majority,
particularly along
the coast (
up to 99 %).
Capodistria,
Isola and Pirano
were assigned to
Slovenes, the
southern areas
with Buie, Umago
and Cittanova to
Croats.
The
Yugoslavs, since
the first day,
made use of
intimidation
through nightly
summary arrests,
popular kangaroo
court trials, and
the fast
elimination of
Italian
professionals and
workers.
Yugoslavs
immediately took
over all shops and
enterprises, while
the majority of
fishermen and
farmers were
forced to work for
the Authority.
In
April 1946 the
Slavic language
was
introduced
in the schools and
in the
administration of
the rural and
coastal areas,
where 97% of
the population
were Italian and
didn't normally
know even a single
word of Slavic
language.
During
the nights Slovene
soldiers used to
introduce
themselves in the
homes and frighten
the Italian
autochthonous.
Who
had his job in the
A zone of FTT was
the first to
be invited
to leave
definitively the B
zone.
Later
the
Slovenian and
Croatian military
authorities, in
order to
yugoslavize the
towns began taking
over "for
administrative
reasons"
the italian
private homes.To
the displaced
Italian
families the
Slovene Authority
normally proposed
a rural
house in an area
where the Italian
language was
completely banned
from schools and
administration.
People preferred
to move to Italy,
Australia and
America.
In
the area under the
Slovenian military
authority, i.e. in
Capodistria, Isola
and Pirano, the
job was very good
done, and
practically every
single
Italian
inhabitant (27.000
of 30.000) had to
move away .
1900
Capodistria (now
Koper ), la via
Callegarìa.
The
Yugoslavs tried by
all means to
obstacle the
circulation of
people and
merchandises
between the two
zones of FTT, and
simple workers
spent
sometimes until 10
hours to cross the
border between the
two zone of the
so-called
"Free"
territory, while
the farmers and
fishermen could no
more sell their
product in the
great town of
Trieste.
Even
if it was
formally
prohibited by the
Peace's Treaty ,
the Yugoslavian
Authority
introduced in 1948
a new worthless
currency : the
Yugolira.
Yugoliras
had practically no
worth (the Economy
in the B zone was
practically
reduced to zero),
but at the border
everyone was
entering the
yugoslav
zone (poor
workers coming
back to their
homes in the B
zone included) ,
had its money
obligatory changed
by Yug. military
authorities with
an absurd ratio
Lira 1:1 Yugolira.
The
Yugoslavs were
inciting the
little (but
steadily
increasing with
new forced
yugoslavian
immigration)
Slovene minorities
hatred of
Italians, all
depicted as
'bourgeois Fascist
Imperialists and
collaborators'.
The
majority of the
Italians,
without job and
without home,
terrified by
Slovenes ,
preferred to leave
the B zone and
emigrated to
Italy, Canada or
Australia.
Their
houses were given
to Slavic and
Moslem peasants
called from the
South of
Yugoslavia.
Still
today
historical centers
are partially
unoccupied.
(
Central Pirano
center had 7.000
inh. in 1945, but
has only 700 now)
It
was something
which was ongoing
not only in the
Ftt but in
the whole of urban
centers of the
former Italian
territories of the
eastern part of
Adriatic.
Since
1920 on the
Dalmatian coast,
and since 1944 in
Istria, Fiume and
Quarnero Islands.
Though
the exodus was not
as sudden as that
of the Albanians
in Kosovo, about
300,000 ethnic
Italians fled
socialist
Yugoslavia in the
decade following
World War II.
Violence,
deportations,
religious
persecution and
physical and
psychological
terrorizing made
many ethnic
Italians believe
they had no choice
but to leave their
homes on the
Istrian Peninsula.
Finally
all Italian,
including farmers
and fishermen had
to emigrate from
the B zone.
In
the following
years up to 40.000
Italians, from
workers and
fishermen to
professionals,
were forced to
mass migration or
'ethnic cleansing'
from zone B in a
forerunner of the
horrors that have
swept the Balkans
since the collapse
of the Yugoslav
federation.
Only
2.700 (of 20.000)
Italians remain in
the area under
slovenian control,
and 8.500 (of
30.000) in the
croate area.
So
ended the complex
events of the
eastern border,
which nonetheless
left open wounds,
with a human cost
– the foibe and
the exodus –
which can not
easily be
erased. The
situation of the
Italians who
remained across
the border was a
cause for
controversy, owing
to the
difficulties that
the Italian
communities face
still today
in openly
expressing their
own cultural
identity.
LA
PERSECUZIONE
DEI
RIMASTI
IN
ISTRIA
|
I
rimasti
in
Jugoslavia
furono
rapidamente
snazionalizzati
o
eliminati.
Infatti,
tutti
i
censimenti
del
dopoguerra
hanno
segnato
una
flessione
della
consistenza
della
comunità
italiana:
anche
al di
là
dell’attendibilità
delle
cifre
assolute,
la
tendenza
risulta
chiara,
tanto
che
rispetto
ai
rilevamenti
del
1948 e
del
1953,
quando
in
Jugoslavia
risultavano
dimoranti
rispettivamente
79.575
e
35.974
cittadini
di
nazionalità
italiana,
nel
1961
la
consistenza
numerica
degli
appartenenti
al
Gruppo
nazionale
italiano
(Gni)
si
vedeva
ridotta
a
25.615
unità.
Il
numero
era
destinato
a
scendere
ulteriormente
sia
nel
1971
che
nel
1981,
quando
il
calo
demografico
registrò
21.615
e
15.341
appartenenti
alla
comunità
italiana.
|
IZSELJEVANJE
IZ
CONE B
PO
LONDONSKEMU
SPORAZUMU
Po
mnenju
italijanskih
je
oblasti
italijansko
prebivalstvo
v
Istri
doživelo
izgon,prisilno
migracijo.
Ta naj
bi se
dogajala
zato,
ker so
bili
ljudje,
»prisiljeni
zapustiti
svoj
dom
zaradigroženj
ali se
je za
prepricevanje
uporabila
sila,
pa
tudi
zato,
ker
naj bi
nastala
negotova
situacijazaradi
nasilnih
razmer,
kot so
vojna,
revolucija
in
podobno.
Obstajal
pa je
tudi
utemeljen
strah
predpregonom«.
(Stola,
1992)
Glavni
krivec
za
izgon
naj bi
bila
prav
tako
mešanica
ideoloških
innacionalnih
razlogov.
»Slavocomunisti«ali
»Titini«,
kot so
imenovali
komuniste,
pa
tudi
ostale
Jugoslovane,
naj bi
si
namrec
že
kmalu
po
kapitulaciji
Italije
poželeli
njenega
ozemlja,
ne pa
tudinjenega
prebivalstva.
Politiko
izgona
Italijanov
naj bi
zaceli
uresnicevati
postopoma,
od
vzhoda
protizahodu.
Tako
naj bi
po
navodilih
partizanov
prišlo
do
vrste
zavezniških
bombardiranj
mesta
Zadar,
kiga
je
nato
zapustila
velika
vecina
prebivalcev
italijanske
narodnosti.
(Volk,
2001)
Odšli
so
tudi
Italijani
iz
Splita,
Šibenika
in
okolice.
Proti
koncu
poletja
1945
se je
zacel
odhod
z Reke,
Pule
inostalih
istrskih
mest
in
vasi.
Njihove
prebivalce
naj bi
preplašile
genocidne
namere,
ki so
jih
partizaniže
demonstrirali
po
kapitulaciji
Italije,
ko naj
bi v
»foibah«
izginilo
okoli
1500
ljudi.(Fogar,
1983)
Pravtako
naj bi
nova
ljudska
oblast
v teh
krajih
zacela
z
nacrtnim
ustrahovanjem
italijanskega
prebivalstva,proti
njim
pa je
bil
naperjen
tudi
vsak
odlok,
ki ga
je
sprejela.
Prišlo
je
tudi
do
dolocenega
kulturnegašoka,
saj se
je
mnogo
mešcanov
po
koncu
vojne
pravzaprav
prvic
srecalo
s
slovenskim
in
hrvaškimživljem
iz
notranjosti
Istre.
»Danes
lahko
z »zadovoljstvom«
gledamo
plapolati
na
desetine
slovenskihin
rdecih
zastav
in
poslušamo
slovenske
pesmi,
ki jih
ne
razumemo.
Po
ulicah
italijanskega
Kopra
plapolajo
slovanske
ter
ruske
zastave
in
njihove
pesmi
žalijo
naša
ušesa«,
(Derin,
2001)
je v
pismih
svoji
sestri
v
Trstu
zapisala
obupana
prebivalka
mesta
Koper.
S
postopnim
uvajanjem
novega
družbenega
sistema,
se je
stanje
samo
še
slabšalo.
Sodni
procesi,
ki so
bili
naperjeni
proti
nasprotnikom
ljudske
oblasti,
naj bi
bili
vecplastni.
Prizadeli
so
vidnejše
pripadnike
italijanske
narodnosti,
ki so
bili
zaprti
ali
pregnani,
odvzeto
jim je
bilo
premoženje,
njihov
primer
pa je
služil
kotnemo
opozorilo
ostalim.
Nova
oblast
se je
lotila
tudi
cerkve
in
vere,
ki »je
bila
mocna
takrat,
in to
naposeben
nacin,
danes
je
drugace,
bila
je
ljubezen
do
boga,
bila
je
vera,
vsa ta
cudovita
vera,
iz
katere
jeizhajala
enotnost
med
Istrijani«
(Ballinger,
1998).Ker
je
bila
cona B
Julijske
krajine
in
kasneje
cona B
STO
tako
rekoc
cez
noc
odrezana
od
svojih
naravnih
središc,
Trsta
in
Gorice,
s
Slovenijo
pa še
niso
bile
utecene
gospodarske
vezi
so se
pojavilitudi
problemi
gospodarske
narave.
V
Istri
je še
vedno
veljala
racionirana
preskrba,
ljudje
so živila
prejemali
le na
živilske
karte.
Zaradi
naglega
odliva
lir v
Trst
je
bila
ta
valuta
ukinjena
in
zamenjana
zJugolirami.
»Veliko
družin
je
zaradi
tega
obubožalo«
(Ballinger,
1998).
To je
spodbudilo
koprske
mešcane,
da so
organizirali
demonstracije,
ki pa
so
bile
grobo
zadušene.
Odpeljanih
je
bilo
tudi
velikostrojev
iz
tovarn,
predvsem
iz
Izole
ter
njihova
ribiška
flota.
(Basioli,
1982)
Do
februarja
1947
je
bila
koncana
tudi
agrarna
reforma,
ki je
izhajala
iz
nacela,
da
mora
zemlja
pripadati
tistemu,
ki jo
obdeluje.Razlašcenih
je
bilo
626
posestev
in 5
veleposestev
oziroma
2289
hektarov
zemlje,
od
katere
je
1664
hektarov
pripadalo
posestnikom
italijanske
narodnosti.
(Zagradnik,
1997)
Le to
naj bi
razdelili
1058
kolonom
in
malim
kmetom.
Prišlo
je
tudi
do
prekomernega
obdavcevanja
obrtnikov.
S tem
naj bi
jihnova
oblast
prisilila,
da
prenehajo
svojo
pridobitno
dejavnostjo
in
vstopijo
v državno
gospodarstvo.
Množicno
naj bi
se
tudi
odpušcalo
delavce
italijanske
narodnosti.
|
Problemi
so se
pojavili
tudi v
notranji
politiki
obalnih
mest.
Epuracija
naj bi
zamenjala
vladajoci
razred,
kompromitiran
s fašizmom,
z
drugimi
ljudmi,
ki so
bili
zvesti
novemu
režimu.
(Spazzali,
2000)
Vendar
pa je
v sveže
formiranih
ljudskih
odborih
kmalu
prišlo
do
sporov.
Razlogi
za ta
razkol
so
bili
predvsem
ideološke
narave.
Jugoslovanska
oblika
socializma
naj bi
namrec
vsebovala
mocan
nacionalni
naboj,
kar je
nasprotovalo
internacionalnemu
duhu
socializma,
ki ga
je
propagirala
njegova
Ko
je
bila
konec
junija
1948
objavljena
resolucija
Informbiroja,
so
seitalijanski
komunisti,
ki so
imeli
v
obalnih
mestih
vodilne
pozicije,
opredelili
za
resolucijo.
(Kramar,2002).
Prišlo
je do
pravega
ideološkega
spopada,
v
katerem
je
zmagala
struja,
ki je
podprla
Tita
in
Centralni
komite
Komunisticne
partije
Jugoslavije
in v
kateri
so
prevladovali
Jugoslovani.
Veliko
italijanskih
komunistov
je
bilo
aretiranih,
drugi
so
izgubili
svoje
pozicije,
veliko
pa se
jih je
izselilo.
Višek
politicnega
nasilja
pa naj
bi
bile
volitve
v
organe
oblasti
v coni
B STO.
Te
"demokraticne"
volitve,
na
katerih
sta
poleg
režimske
Slovansko
-
italijanske
socialisticne
unije
(SIAU)
nastopili
tudi
neodvisna
Socialisticna
stranka
STO in
kršcansko-socialna
skupina
pod
vodstvom
don
Mussize,
so
Italijanom
zaradi
nasilja
in
ustrahovanja
znanih
proitalijanov
in
tistih,
ki
niso
volili,
ostale
v
slabem
spominu.
(Colummi,
1980)
Vse to
naj bi
pripeljalo
do množicnega
izseljevanja
Italijanov,
ki
soodhajali
v Trst,
od tam
pa v
Zahodno
Evropo,
ZDA,
Avstralijo,
Kanado,
Argentino,
Urugvaj
in šekam.
Prisilna
migracija
naj bi
bila
tako
vzrok
za
mednarodno
migracijo
in za
vse
trpljenje,
ki je
bilo
stema
dvema
migracijama
povezano.Jugoslovanski
režim
je v
praznino
na
Koprskem,
ki je
ostala
za
Italijani
in
nekaterimi
Slovani,
nacrtnozapolnil
s
tokom
ljudi
iz
notranjosti
Istre,
Slovenije
in
kasneje
cele
Jugoslavije
ter
tako
popolno
maspremenil
etnicno,
kulturno
in
socialno
sliko
tega
ozemlja.
V
obalnih
mestih
je
bila
umetno
izoblikovana
nova
identiteta,
ki ni
vec
temeljila
na
romanskih
in
italijanskih
koreninah,
temvec
je
zasvoje
gonilo
po
nareku
oblasti
izbrala
mešanico
identitet
ljudi,
ki so
bili
na
novo
naseljeni.(Nodari,2001)
Italijani,
ki so
bili
izgnani,
naj bi
Istro,
kjer
so živeli,
v
obliki
spominov
in
kulture
odnesli
s
seboj
po
svetu.
Tako
naj bi
današnja
Istra
ne
imela
nicesar
skupnega
s
svojim
historicnim
razvojem,
kije
trajal
do
leta
1945
in je
bil
nato
prekinjen.
(Ballinger,
1996)
UVOD
V
ZADJI
VELIKI
VAL
MNOŽICNE
IZSELITVE
V
zacetku
oktobra
1953
je
zaradi
anglo-ameriške
note,
ki je
upravo
cone A
STO
prepušcala
Italiji,ponovno
prišlo
do
zaostrovanja
med
Jugoslavijo
in
Italijo.
Ponovno
je prišlo
do
nasilja
nad
ljudmi,
kiso
jih
smatrali
za
naklonjene
Italiji.
Zapora
meje
pa je
veliko
število
ljudmi
iz
cone B
STO,
ki so
bili
zaposleni
v
Trstu
postavila
pred
izbiro
med
tem,
da
ostanejo
brezposelni
doma,
ali pa
da
zapustijo
domin
gredo
živet
tja,
kjer
so
zaposleni.
Vse to
je bil
uvod v
zadnji
veliki
val
izseljevanja
iz
okraja
Koper.
Prvi
valovi
izseljencev
iz
obcin
Koper-mesto,
Koper-okolica,
Izola,
Piran,
Marezige,
Dekani,
Portorož
in
Secovlje
tako
preplavili
mejni
prehod
Škofije.
V enem
letu
naj bi
iz
mesta
Koper
odšlo
910,
iz
njegove
okolice
pa 123
ljudi.
Ob
morju
je
Piran
izgubil
831,
Izola
1201,
Portorož
110,
Secovlje
pa
29prebivalcev.
Iz
zalednih
obcin
Dekani
in
Marezige
naj bi
odšlo
136
ljudi,
od
tega
131 iz
Dekanov
in 5
iz
Marezig.
(Ploj,
2002)
Val se
še ni
polegel,
ko je
5
oktobra
naslednjega
leta
prišlo
do
Londonskega
memoranduma,
ki je
cono B
STO
prepustil
Jugoslaviji.
Ljudje
so se
izseljevali
še
naprej,
edina
vecja
razlika
pa je
bila v
tem,
da so
prošnjo
s
katero
so
prosili
za
izselitev
namesto
na
Vojaško
upravo
jugoslovanske
armade
zdaj
naslavljali
na
civilno
oblast
oziroma
na
Tajništvo
za
notranje
zadeveokraja
Koper.
Pred
obcinskimi
zgradbami
istrskih
mest
in
vasi
so se
spet
pojavile
dolge
vrste
ljudi,
kiso
oddajali
obrazce,
da bi
zase
in za
svoje
družine
pridobili
dovolilnico
za
izselitev
v
Italijo.
IZSELJEVANJE
PO
LONDONSKEM
MEMORANDUMU
S
sprejetjem
Londonskega
memoranduma
sta
okraja
Koper
in
Buje
dokoncno
prišla
pod
Jugoslavijo.
Vojaško
oblast
je
zamenjala
civilna,
prebivalstvo
pa je
bilo
vkljuceno
v »Jugoslovanski
eksperiment«,kot
se je
imenoval
popolnoma
nov
model
družbe,
ki je
po
mnenju
Zveze
Komunistov
Jugoslavijo
postavil
na
mesto
najnaprednejše
sile
na
svetu.
Vendar
to ni
zavrlo
množicnega
izseljevanja
prebivalcev
Istre.
Cedalje
vec
ljudi
je
oddajalo
prošnjo
za
izselitev
v
Italijo,
obalna
mesta
so se
naglopraznila.
V
letih
1955
in
1956
naj bi
tako
iz
koprskega
okraja
odšlo
16.062
oseb.
(Argenti-Tremul,2001)
Te
številke
povedo
veliko,
ne pa
vsega.
Na
vsak
nacin
je le
na tej
osnovi
težko
odgovoriti
navprašanje,
kako
sploh
poimenovati
dogajanje,
ki je
Istro
in
njeno
prebivalstvo
prizadelo
po
drugisvetovni
vojni.
Prisotni
so
mnogi
problemi,
ki jih
gola
preštevanja
odhajajocih
niso
zmožna
rešiti.
Številke
je
namrec
politika
v
preteklosti
že
izkoristila
v svoj
prid.
»Manjka
celovitejša
slika
dogajanja,zato
o
vzrokih
za
tako
množicne
izselitve
še
vedno
lahko
le
domnevamo.«
(Troha,
1999)
Vendar
pa je
po
pregledu
arhivskih
virov
postalo
jasno,
da so
vsi,
ki so
v tem
casu
odhajali
izkoprskega
okraja
za
seboj
pustili
številne
sledi
v
obliki
najrazlicnejših
dokumentov.
Najvec
virovhrani
Pokrajinski
arhiv
Koper,
predvsem
v
fondu
Tajništva
za
notranje
zadeve
okrajnega
ljudskega
odbora
Koper.
Prosilci
oziroma
nosilci
dovolilnice
so v
dokumentaciji,
potrebni
za
pridobitev
te važnelistine
za
izhod,
podali
podatke
o
svojem
imenu,
priimku,
spolu,
starosti
in
narodnosti,
o
svojihdružinskih
povezavah,
ter
datumu
odhoda.
Ugotoviti
se da
tudi,
kje so
živeli,
katere
nepremicnine
soposedovali
ter
kaj od
svojega
premoženja
so želeli
odnesti
s
seboj
v
Italijo.
Možen
je
tudi
vpogled
vnjihovo
davcno
in
kazensko
zgodovino,
vcasih
pa je
na
voljo
tudi
mnenje
o
kandidatu
za
izselitev,
kiga
je
podala
komisija
pristojnega
ljudskega
odbora
ali pa
skrivnostni
IV.
odsek
Uprave
za
notranjezadeve
Okraja
Koper.
Za
boljšo
predstavo
o
socialni
sliki
odhajajocih
je
pomembno
poznati
tudipodatke
o
njihovem
poklicu
in o
temu,
ali so
bili
zaposleni
ali
brezposelni.
Ker je
oblasti
zanimalotudi,
zakaj
odhajajo,
so na
voljo
tudi
odgovori
na to
vprašanje.
Vendar
pa je
treba
upoštevati,
da je
lemalo
kdo
odgovoril
po
pravici,
saj je
bil
prisoten
strah
pred
sankcijami.
Seznaniti
se da
tudi
znaj
razlicnejšimi
problemi,
s
katerimi
so se
prosilci
preko
pisem
spopadali
z
birokracijo,
ki
vcasih
ni
inni
hotela
izdati
dovolilnice.
(Gombac,
2001)Zaradi
kompleksnosti
vseh
teh
podatkov,
specificnosti
multietnicnega
obmejnega
prostora,
ki sta
ga
vsvoj
vrtinec
potegnili
dve
mocni
ideologiji
ter
obcutljivosti
fenomena
množicnega
izseljevanja,
je
vteku
obsežna
raziskava.
Le ta
naj bi
odgovorila
na
nekatera
najbolj
pereca
vprašanja,
ki si
jihvsakodnevno
zastavljajo
politiki
z obeh
strani
meje
ter
skušala
bolje
ovrednotiti
samo
dogajanje.Posegla
naj bi
tudi
globje
v
razkrivanje
socialne
mreže
tako
posameznih
mest
in
vasi,
kot
tudi
okrajakot
celote
v
prostoru
in
casu.
IZSELJEVANJE
IZ
IZOLE
Izseljevanje
izolskih
delavcev
se je
poveèalo
tudi
zaradi
negotove
gospodarske
situacije,
kot
npr.
ko so
iz
tovarn
Arrigoni
in
Ampelea
(1947/48)
odpeljali
stroje,
surovine
itd;
njihova
vrednost
je
bila
okoli
milijarde
in pol
lir.
Po
prvi
izselitvi
do
leta
1945
lahko
štejemo
obdobje
od
leta
1948-52
za
drugo
obdobje
izseljevanja,
za
katero
pa je
znaèilno
majhno
in
postopno
izseljevanje.
V
izpraznjene
hiše
in
stanovanja
so
naselili
priseljence.
Kot
tretje,
najmnožiènejše
obdobje
izseljevanja,
pa
lahko
štejemo
v èasu
od
konca
leta
1953
do
1956.
Izolani
so
emigrirali
najprej
iz
obmoèja
4
sektorjev
na bivšem
otoku
in iz
dveh
sektorjev
pred
otokom.
Od 7.
6.
1953
do 30.
12.
1954
si je
v
Izoli
1051
Izolanov
nabavilo
tiskovine
za
izselitev
v Trst.
Optanti
so
delali
sezname
blaga,
ki so
ga
hoteli
prenesti
v cono
A.
Objavljen
èlanek
bo
obsegal
v 10
strani
dolgi
prilogi
seznam
emigrantov
1953-1954,
ki so
pustili
svoje
nepremiènine.
Italijanski
državljani
so po
Londonskem
memorandumu
vložili
prošnjo
za
izselitev,
krivdo
za množièna
izseljevanja
je
imela
tudi
italijanska
vlada,
ki je
širila
vesti,
da bo
cona B
prikljuèena
k
Italiji.
OLO
Koper
je 8.
7.
1955
izdal
navodilo
za
izvoz
premicnin,
to
pravico
so
imeli
izseljenci,
izvzete
premicnine
so
bile
gotovina,
valute,
zlato
v
palicah,
zašciteni
kulturni
in
umetniški
predmeti
itd.
Za
transferje
denarja
prek
podružnice
Narodne
banke
v
Kopru
so
bila
potrebna
potrdila
ljudskih
odborov,
da je
bil
denar
pridobljen
s
prodajo
premicnin
in
nepremicnin
in s
prihranki.
Nadzor
je
opravljala
Okrajna
komisija
Koper.
Iz
tovarn
Ampelea,
Arrigoni
in
drugih
podjetij
je odšlo
do 90
%
delovne
sile,
širile
so se
tudi
govorice,
da
bodo
delavci
odšli
v
Avstralijo
v
tovarne
ribje
industrije.
Število
Italijanov
v
tovarnah
se je
zmanjšalo
na
nepomembne
odstotke.
V
tretji
izselitvi
se je
namrec
izselilo
95 %
ribicev,
ostalo
jih je
le za
eno
ladijsko
posadko.
Nad
300
kmetov
iz
vasi
Baredi,
Livade,
Polje,
Dobrava,
Šared,
Cetore
itd.
je vložilo
prošnjo
za
izselitev.
Vsem
so
bile
prošnje
ugodno
rešene.
Mnogi
so
pred
izselitvijo
rezali
trte
in
unicevali
hiše.
Razmere
v coni
B so
postale
dramaticne.
Izola
z
okolico
je
bila
skoraj
brez
ljudi.
|
Negli
stessi
anni
si
registrò
anche
il
fenomeno
del
“contro-esodo
rosso”.
Comunisti
italiani,
specialmente
maestranze
dei
cantieri
di
Monfalcone,
emigrarono
in
Jugoslavia,
spinti
dall’utopia
stalinista
e
da
una
sincera
fede
nella
causa
socialista.
Incentivati
dal
PCI,
che
li
aiutò
anche
trasferirsi
clandestinamente,
nel
’47
i
“monfalconesi”
cominciarono
ad
arrivare
in
Jugoslavia.
Inizialmente
accolti
a
braccia
aperte,
fedeli
a
Stalin,
ben
presto
vennero
abbandonati
da
Tito,
a
seguito
della
rottura
con
il
leader
sovietico.
Quelli
di
loro
che
non
riuscirono
a
mettersi
in
salvo,
magari
riattraversando
il
confine,
furono
deportati
nei
lager
dell’interno
e
delle
isole.
“Le
ragioni
della
politica
internazionale
e
di
quella
nazionale”,
ha
scritto
Oliva
(
di
cui
sconsigliamo
comunque
di
acquistare
il
libro
Foibe,
zeppo
di
false
notizie),
“
hanno
contribuito
a
limitare
l’approfondimento
e
la
conoscenza”
degli
avvenimenti
che
interessarono
la
Venezia
Giulia.
La
questione
del
confine
nordorientale
fu
presto
messa
a
tacere
se
non,
in
tempi
più
recenti,
fortemente
strumentalizzata.
Per
circa
un
cinquantennio,
la
Venezia
Giulia
rappresentò
il
confine
più
chiuso
d’Europa,
lo
spartiacque
ideale
tra
due
blocchi
ideologicamente
antagonisti:
gli
Stati
Uniti
e
l’Urss.Anche
qui
ennesima
mistificazione:
il
confine
veniva
spudoratamente
reclamizzato
come
il
più
aperto
d'Europa,
ma
chi
passeggiando
si
avvicinava
alla
linea
di
demarcazione
veniva
mitragliato
,
e
lo
stesso
accadeva
a
chi
con
la
barca
finiva
per
errore
in
acque
slave.
Per
quasi
cinquant’anni,
lo
spaventoso
ricordo
di
quelle
stragi
fu
colpevolmente
rimosso
dalle
principali
forze
politiche
italiane:
i
successivi
governi
a
guida
DC
non
volevano
turbare
i
rapporti
con
la
Jugoslavia,
che
dopo
la
rottura
con
Mosca
nel
1948
era
diventata
una
pedina
chiave
per
contrastare
l’egemonia
sovietica
sui
Balcani;
i
comunisti,
che
avevano
favorito
la
cessione
delle
provincie
giuliane
e
dalmate
a
Belgrado
e
partecipato
attivamente
alla
eliminazione
di
coloro
che
vi
si
opponevano,
avevano
dal
canto
loro
tutto
l’interesse
a
che
questo
capitolo
di
storia
cadesse
nel
dimenticatoio
e
hanno
sempre
tacciato
di
“revanscismo”
coloro
che
volevano
riportarlo
all’onore
delle
cronache.
Questo
atteggiamento
di
chiusura
si
rifletté
anche
sulla
accoglienza
riservata
ai
circa
trecentomila
profughi
delle
provincie
perdute,
gli
unici
italiani
ad
avere
pagato
di
persona
per
la
sconfitta:
al
loro
arrivo
in
patria
(una
parola
che
a
quel
tempo
non
era
neppure
più
in
uso)
essi
furono
infatti
accolti
non
come
italiani
con
la
“I”
maiuscola,
ma
come
scomodi
e
indesiderabili
protagonisti
di
una
tragedia
che
tutti
gli
altri
preferivano
dimenticare.
Neppure
quando
Milovan
Gilas,
dopo
avere
rotto
con
Tito,
ammise
testualmente
che
“Nel
1945
io
e
Kardelj
fummo
mandati
in
Istria
con
il
compito
di
indurre
tutti
gli
italiani
ad
andare
via
con
pressioni
di
ogni
tipo”,
la
classe
politica
italiana
ritenne
opportuno
riaprire
il
dossier.
Dopo
il
1954
i
governi
italiani
comunque
mantennero
nei
confronti
della
Jugoslavia
un
atteggiamento
rassegnato
e
remissivo,
che
culminò
nel
1975
nella
firma
del
trattato
di
Osimo:
un
trattato
negoziato
nel
massimo
segreto
per
evitare
ogni
forma
di
dibattito,
che
sanzionò
la
definitiva
cessione
a
Belgrado
della
zona
B
dell’ex
Territorio
libero
di
Trieste,
amministrata
fin
dal
1954
(ma
in
una
situazione
di
dubbia
legalità)
dagli
slavi;
un
trattato
che,
nello
stesso
tempo,
accettava
un
risarcimento
risibile
per
la
confisca
dei
beni
degli
esuli
ad
opera
del
regime
titino.
Non
per
nulla,
i
pochi
spiriti
liberi
del
Parlamento
italiano,
con
in
testa
la
medaglia
d’oro
Luigi
Durand
de
la
Penne,
votarono
contro
la
sua
ratifica,
nella
speranza
che
il
vento
stesse
finalmente
cambiando
e
che
presto
ci
sarebbe
stata
la
possibilità
di
ottenere
condizioni
meno
onerose.
Una
occasione
per
impostare
i
rapporti
con
i
vicini
orientali
su
nuove
basi
si
presentò
in
effetti
nel
1992,
con
la
dissoluzione
della
Jugoslavia.
Sia
la
Slovenia,
sia
la
Croazia
–
cioè
le
due
repubbliche
direttamente
interessate
al
rapporto
con
l’Italia
–
chiesero
di
subentrare
a
Belgrado
come
partner
del
trattato
di
Osimo.
Sarebbe
stato
perfettamente
legittimo,
da
parte
del
nostro
governo
(presidente
del
Consiglio
Giuliano
Amato,
ministro
degli
Esteri
Emilio
Colombo)
invocare
la
clausola
delle
“mutate
condizioni”
e
chiedere,
come
contropartita
al
riconoscimento
diplomatico,
la
revisione
di
alcune
sue
parti.
Invece,
la
Farnesina
si
limitò
ad
accettare
il
fatto
compiuto,
perfino
rallegrandosi
delle
buone
intenzioni
di
Lubiana
e
Zagabria.
E
quando,
due
anni
dopo,
il
governo
Berlusconi
cercò
di
mettere
come
condizione
per
l’ingresso
della
Slovenia
nell’Unione
Europea,
la
restituzione,
totale
o
almeno
parziale,
dei
beni
abbandonati
ai
legittimi
proprietari,
Lubiana
si
trincerò
dietro
il
muro
del
pacta
sunt
servanda:
tutto
quello
che
l’Italia,
(dove
nel
frattempo
era
tornato
al
potere
il
centro-sinistra,
in
genere
meno
sensibile
al
problema)
riuscì
a
strappare,
fu
il
cosiddetto
lodo
Solana,
cioè
un
accesso
privilegiato
degli
esuli
al
mercato
immobiliare
delle
zone
da
cui
erano
fuggiti,
che
gli
sloveni
non
hanno
avuto
certo
difficoltà
a
eludere.
Tuttora
i
cittadini
italiani
non
possono
proprio,
a
differenza
di
francesi
o
tedeschi
o
inglesi,
comprare
immobili
né
in
Slovenia
né
in
Croazia
!
In
sintonia
con
un
mutato
atteggiamento
dell’opinione
pubblica,
i
vari
governi
dovrebbero
pure
assumere
atteggiamenti
più
fermi
di
fronte
alle
prepotenze
che,
nel
loro
sciovinismo,
Slovenia
e
Croazia
continuano
a
commettere
nei
confronti
delle
rispettive
minoranze
italiane
sopravvissute
al
genocidio.
Forse
avvertendo
un
chissà
quale
pericolo
che
la
superiorità
economica
e
culturale
dell’Italia
potrà
rappresentare
per
loro
in
una
situazione
di
frontiere
aperte,
le
due
repubbliche
reagiscono
spesso
in
maniera
isterica
appena
si
nomina
nella
dizione
italiana
una
città
istriana
o
dalmata.
Le
occasioni
in
cui
i
nostri
vicini
si
sono
pesantemente
intromessi
a
sostenere
gli
sloveni
in
Italia
si
contano
a
migliaia,
e
la
reazione
da
parte
nostra
è
stata
solo
quella
di
esguire
quanto
richiesto.
Dall'altro
lato,
ancora
pochi
mesi
fa
uno
striscione
che
auspicava
un
trattamento
a
livello
europeo
per
la
minoranza
italiana,
viene
definito
dal
Sindaco
di
Koper
-Capodistria
come
inaccettabile
interferenza
negli
affari
interni
e
un
pericoloso
attentato
alle
"
amichevoli"
relazioni
tra
Italia
e
Slovenia.Sono
espressioni
che
ricordano
molto
quelle
usate
da
Tito.
Il
ministero
degli
esteri
sloveno
l'anno
scorso
ricorse
alla
menzogna
plateale
di
Stato
protestando
ufficialmente
presso
il
Governo
Italiano
con
una
comunicazione
diplomatica
"perchè
nella
provincia
di
Trieste
con
una
legge
viene
tolto
alla
minoranza
slovena
in
Italia
il
diritto
di
ottenere
le
carte
di
identità
bilingui
italiano/sloveno"
.
Questa
esternazione,
lo
sappiamo
tutti,
è
senza
alcun
aggancio
con
la
realtà
(
nessuno
mai
qui
ha
nemmeno
parlato
di
togliere
alla
minoranza
slovena
il
diritto
alla
carta
bilingue).
In
verità
ciò
che
si
voleva
era
limitare
i
diritti
della
maggioranza
italiana,
ovvero
impedire
l'applicazione
di
una
legge
dello
Stato
che
consente
che
chi
lo
desidera
possa
ottenere
i
documenti
in
sola
lingua
italiana,
come
tutti
i
cittadini
di
questo
Paese.
Il
ministero
sloveno
aggiungeva
alle
sue
farneticazioni
un
appelloall'
allegato
II
del
Memorandum
di
Londra,
....un
allegato
cioè
che
sin
dal
1975
fu
però
espressamente
abrogato
dal
Trattato
di
Osimo,
tanto
caro
agli
jugoslavi,
ma
che
il
loro
ministero
non
conosce
molto
bene.
Il
fatto
triste
è
comunque
che
i
Governi
del
mondo
,
leggendo
la
protesta
diplomatica
slovena,
ci
avranno
creduto
(
si
può
ipotizzare
che
un
ministero
farnetichi
menzogne
plateali
?)
e
pensato
malissimo
dell'Italia,
che
come
al
solito
si
è
ben
guardata
dal
pretendere
una
rettifica
pubblica. Del
resto
gli
sloveni
applicano
provvedimenti
che
rasentano
il
genocidio
per
la
minoranza
tedesca
in
Slovenia,
che
sono
l'unica
minoranza
nei
paesi
dell'est
a
non
essere
riconosciuta
e
viene
ostacolata
in
ogni
modo,
poi
ogni
secondo
giorno
sono
a
lamentarsi
nei
confronti...dell'
Austria
la
quale
invece
la
minoranza
slovena
la
tratta
con
i
guanti,
come
e
più
di
quanto
avviene
con
gli
sloveni
in
Italia,
che
nemmeno
devono
preoccuparsi
di
lavorare,
avendo
sovvenzioni
di
ogni
tipo
e
posti
riservati,
belle
prerogative,
che
pagano
tutti
gli
italiani.
La
faccia
di
bronzo
degli
sloveni
è
talmente
spessa
da
apparire
inossidabile
a
qualsiasi
verità
logica.
I
rappresentanti
degli
sloveni
di
Trieste
intanto,
che
,
sembrerebbe,
avendo
già
tutti
i
diritti,
ora
guardino
a
limitare
quelli
della
maggioranza
italiana,
urlavano
come
aquile,
dicendo
che
solo
un'esigua
parte,
di
fascisti,
era
interessata
ad
avere
le
carte
solo
in
italiano.
Gli
attivisti
sloveni,
fecero
due
ricorsi
al
TAR,
il
quale
pur
parteggiando
tradizionalmente
per
slavi
e
comunisti,
non
potè
proprio
trovare
appigli
per
togliere
altri
diritti
agli
italiani
residenti
in
Italia.
In
realtà
i
documenti
d'identità
bilingui,
di
colore
e
di
aspetto
differente
dal
normale,
sono
sempre
stati
poco
graditi
alla
popolazione
della
provincia
di
Trieste,
poichè
spesso
vengono
credute
documenti
finti
e
fasulli
in
Italia
e
ancor
più
spesso
all'estero,
,
dove
alla
prima
scritta
in
una
lingua
dell'est
tutti
si
allarmano,e
si
sono
letti
spesso
sul
giornale
i
racconti
di
chi
di
non
poteva
passare
le
frontiere,
perdeva
l'aereo,
non
poteva
cambiare
assegni
ecc.
e
altre
cose
incresciose.
Inoltre
più
di
qualcuno
è
stato
persino
arrestato
per
errore
e
tradotto
in
carcere
come
criminale
perchè
le
carte
bilingui
possono
avere
gli
stessi
numeri
di
quelle
normali
distribuite
in
Italia
magari
a
qualche
criminale.
Figuriamoci
chi
le
può
volere
!
Difatti
appena
fu
possibile
chiedere
la
carta
solo
in
italiano
,
a
Duino
Aurisina
(dove
gli
italiani
costituiscono
il
70
%
della
popolazione)
la
percentuale
di
coloro
che
richiesero
la
carta
solo
in
italiano
è
stata
di
oltre
il...70%.
Non
solo
tutti
gli
italiani
(comunisti
inclusi)
ma
anche
alcuni
sloveni
quindi
richiedono
la
carta
solo
in
italiano.
Avevano
detto
la
SKGZ
e
le
sinistre
riunite
,
che
interessava
solo
ai
fascisti,
e
invitavano
i
veri
democratici
di
lingua
italiana
a
chiedere
la
carta
bilingue,
per
solidarietà.
Proprio
nessuno,
all'atto
pratico,
ha
dato
loro
retta.
Intanto
a
San
Dorligo
,
dove
gli
italiani
sono
il
40
per
cento,
vige
invece
il
terrore,
e
il
sindaco
slavo
comunista
si
rifiuta
di
rilasciare
carte
solo
in
italiano,
che
per
paura
nessuno
più
nemmeno
chiede.
Questo
accade
in
una
provincia
dove
gli
sloveni
col
5%
della
popolazione
comunale
di
Trieste
e
con
l'
8%
nell'intera
provincia
(
nel
1971,
che
poi
non
hanno
mai
più
voluto
farsi
contare,
avendo
il
popolo
sloveno
la
prolificità
più
bassa
del
mondo)
Hanno
a
disposizione
mezzi
immobiliari
e
finanziari
impensabili,
pagati
da
tutti
i
contribuenti
italiani.
Teatri
dove
il
pubblico
deve
essere
portato
con
gli
autobus
prelevandolo
oltreconfine
in
Slovenia,
e
dove
pur
di
avere
qualche
spettatore
hanno
messo
i
sottotitoli
in
italiano
(
con
orrore
e
sdegno
di
diversi
esponenti
sloveni,
che
vedono
l'italiano
come
fumo
negli
occhi.)
Dove
personaggi
sloveni
che
parlano
l'italiano
meglio
di
noi,
e
arringano
in
italiano
alla
radio,
si
rifiutano
di
pagare
le
multe
perchè
non
sono
scritte
in
slavo.
(Provate
a
farlo
in
Slovenia,
dove
se
non
avete
subito
pronto
in
tasca
l'esatto
importo
di
Tolari
,
i
poliziotti
della
milizia
vi
sequestrano
auto
e
documenti!)
Ci
sono
scuole
di
ogni
ordine
e
grado
in
lingua
slovena,
ma
in
molte
buona
parte
degli
alunni
arriva
da
oltreconfine.
Il
medesimo
giornale
che
nel
1945
ineggiava
alle
foibe
,
è
stampato
a
nostre
spese
ancora
oggi
in
migliaia
di
copie
che
non
vendono,
e
il
cui
deficit
miliardario
è
pagato
dal
contribuente
italiano
SE
qualcuno
capisse
lo
slavo
vedrebbe
che
le
loro
opinioni
non
hanno
cambiato
molto.
Le
trasmissioni
tv
slovene
sono
trasmesse
su
una
frequenza
supplettiva,
costano
30.000
euro
all'ora
ma
non
trasmettono
che
vecchi
filmati
di
archivio
di
cori
sloveni
replicati
mille
volte,
vecchi
filmati
di
canzonissima
in
bianco
e
nero
(sic)
e
poi
cartoni
animati
senza
parlato
degli
anni
settanta
(
c'è
molta
differenza
tra
un
cartone
animato
non
parlato
in
italiano
e
uno
non
parlato
in
sloveno,
per
questo
occorre
una
frequenza
apposita
e
per
questo
ci
costano
30.000
all'ora)
La
domanda
cui
bisognerà
trovare
una
risposta,
se
possibile
omogenea,
è
la
seguente:
quali
sono
i
diritti
delle
genti
che,
in
seguito
alla
sconfitta
del
loro
Paese
e
alla
perdita
delle
province
in
cui
risiedevano,
sono
state
costrette
a
prendere
la
via
dell’esilio?
E’
ammissibile
che
esse
siano
state
costrette
a
pagare
di
persona
per
colpe
non
loro
e
che
non
riescano
a
ottenere
giustizia
neppure
in
un’Europa
avviata
verso
l’unità?
Se
dobbiamo
essere
tutti
fratelli
in
un
continente
senza
frontiere,
è
evidente
che,
senza
nulla
modificare
negli
assetti
territoriali,
qualcosa
a
favore
degli
esuli
e
dei
loro
discendenti
dovrà
essere
fatto.
|
LE
10.137
VITTIME
DEI
42
GIORNI
DELL'OCCUPAZIONE
JUGOSLAVA
A
TRIESTE
ZONA
A
Già
nel
1944
il
Ministero
degli
esteri
italiano
inviò
a
Washington
un
dispaccio,
in
cui
avvertiva
il
Governo
americano
che
secondo
quanto
risultava
a
Trieste,
i
comunisti
sloveni
avevano
già
preparato
una
lista
di
15.000
persone
che
i
partigiani
di
Tito
avrebbero
dovuto
immediatamente
eliminare
una
volta
entrati
a
Trieste.
Quando
gli
slavi
furono
costretti
a
abbandonare
la
città,
dopo
i
42
giorni,
le
loro
vittime
"realizzate"
furono
in
realtà
solo
10.137:
994
infoibate,
326
accertate
ma
non
recuperate
dalle
profondità
carsiche,
5.643
vittime
presunte
sulla
base
di
segnalazioni
locali
al
G.M.A.
o
altre
fonti,
3.174
morti
nei
campi
di
concentramento
jugoslavi.
Gli
mancò
il
tempo
per
completare
la
lista.
Queste
cifre
danno
non
solo
la
dimensione
dell’avvenimento
ma
ci
inducono
a
riflettere
sul
fatto
che
certo
non
tutti
si
erano
macchiati
di
delitti
di
guerra,
non
tutti
erano
compromessi
col
regime.
Molti
perirono
per
il
solo
fatto
di
essere
italiani,
di
rappresentare
un’etnia
che
si
voleva
se
non
cancellare
rendere
praticamente
irrilevante
sul
piano
politico
e
sociale.
La
rimozione
per
40
anni
che
venne
fatta
dell’accaduto
fu
resa
possibile
per
una
serie
di
circostanze
quali
la
rottura
tra
Tito
e
Stalin,
la
necessità
dell’Occidente
(in
piena
guerra
fredda)
di
appoggiare
quest’ultimo
e
quindi
passare
sopra
ad
episodi
come
le
foibe,
la
sudditanza
del
PCI
agli
interessi
del
comunismo
internazionale
(prima
contro
Tito
e
poi
con
Tito
contro
l’URSS).
Un
groviglio
di
interessi
che
fece
sì
che
la
questione
fosse
ricordata
soltanto
a
livello
locale
(e
di
fatto
solo
dall’estrema
destra
locale)
mentre
a
livello
nazionale
tutti
preferirono
“rimuovere”.
E
dunque
non
pare
sbagliato
oggi
cercare
di
approfondire
e
di
capire,
chiarire
tutti
gli
aspetti,
mettere
da
parte
le
idee
preconcette.
Con
questo
non
si
fa,
come
pare
credere
qualcuno,
un’opera
di
revisionismo
ma
si
cerca
un’opera
di
chiarezza.
E
non
si
vuole
con
questo
accomunare
in
modo
acritico
e
indistinto
“tutti
i
caduti”.
Questa
comunanza
può
essere
solo
nel
rispetto
che
ispira
la
morte.
Non
certo
nel
non
distinguere
quanti
si
batterono
per
un
ideale
di
libertà
e
di
democrazia
da
quanti
lo
fecero
in
nome
della
dittatura
fascista
e/o
comunista
e
del
servaggio
a
Berlino
o
a
Mosca
e
Belgrado.
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